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IL 1849 A ROMA E UNA RIDICOLA LEGGENDA

Storia



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IL 1849 A ROMA E UNA RIDICOLA LEGGENDA

La figura di Garibaldi, specie come intrepido combat­tente, È talmente grande che trasformare uno sfortunato episodio di guerra in una grande vittoria contro un eser­cito di ben 15.000 soldati È una cosa ridicola ed insul­tante la stessa memoria del nostro Eroe nazionale. Oc­corre quindi ristabilire la veritÀ dei fatti circa la ritirata dal Lazio dell'esercito borbonico, iniziata il 17 mag­gio 1849, e circa il breve scontro avvenuto a Velletri il 19 maggio tra alcuni reparti di volontari comandati da Garibaldi e la retroguardia borbonica.



Abbiamo visto come la Francia di Luigi Napoleone volesse assumere la tutela del Papato e del territorio dei suoi Stati. Se la Francia facesse questo per opportunitÀ politica interna, dato che il partito clericale era forte e sostenuto dall'Imperatrice Eugenia, o lo facesse per evitare un eccesso di potenza nel Mediterraneo della ma­rina inglese, a noi puÃ’ anche non interessare. Quello che È certo È che Napoleone III voleva il monopolio della tutela del Papato, contro gli Austriaci che avevano orga­nizzato un corpo di spedizione di volontari, e infine con­tro Ferdinando II di Napoli, il quale, ospitando Sua San­titÀ nella fortezza di Gaeta ed avendo ormai debellata la rivoluzione siciliana, si sentiva costretto moralmente (ma senza nessun entusiasmo) ad intervenire anche lui per restituire alla Chiesa la sua millenaria sede.

Ma la ritirata dell'esercito borbonico dalle posizioni dei colli Albani, dove si era attestato, era stata causata da fatti che non avevano niente a che fare con le possi­bilitÀ o meno dei repubblicani di Roma di sconfiggere e mettere in fuga tale esercito.

Ferdinando II, quando i Francesi sbarcarono a Civita­vecchia, aveva loro inviato come suo rappresentante il colonnello D'Agostino, col compito di allacciare rapporti col generale Oudinot e di combinare e coordinare con questo l'azione dei due eserciti.

Sulle prime la cosa era parsa fattibile, tanto che il ge­nerale francese si era dichiarato disposto a studiare una collaborazione. Ma in appresso, dopo il voto dell'assem­blea francese del 7 maggio e dopo che il Governo di Pa­rigi aveva inviato al generale Oudinot l'ordine di non associare all'impresa le truppe napoletane, il generale aveva lasciato cadere l'offerta di collaborazione. Al Re Fer­dinando parve poi che la situazione diventasse insoste­nibile quando i Francesi sospesero le ostilitÀ e si misero a trattare con la Repubblica Romana, attraverso il Lesseps (il tagliatore dell'istmo di Suez) inviato a Roma, con lo scopo di guadagnare tempo e permettere il soprag­giungere di rinforzi francesi a Civitavecchia.

Il giorno 17 maggio Ferdinando II dette quindi l'or­dine alla propria armata di ritirarsi completamente entro le frontiere napoletane e ivi osservare e attendere lo svi­luppo degli avvenimenti. Non È qui il caso di soffermarsi sui dissidi sorti tra il comandante in capo delle truppe romane generale Rosselli e il colonnello Pisacane, da una parte, e Garibaldi dall'altra.

Se avesse ragione Rosselli che imputava a Garibaldi una ripetuta disobbedienza ai suoi ordini o avesse ragione Garibaldi, qui non si vuole e non si puÒ giudicare non avendo elementi che possano permettere un equo giudizio. Quello che È certo È che tra Rosselli e Pisacane, che criticavano Garibaldi, (che aveva voluto di propria testa assalire i borbonici) e Garibaldi che si ribellava alla loro critica, rimase un'inimicizia insanabile.

Garibaldi col suo reparto forte di due o tre mila uo­mini ebbe il 19 maggio scontri con i borbonici; ma i bor­bonici avevano ricevuto l'ordine di rientrare nel territorio napoletano fin da due giorni prima; e quindi tali scara­mucce avvennero solo contro reparti che dovevano im­pedire il disturbo del movimento di ritirata iniziato dal 17 maggio. Ancora una volta si puÃ’ constatare come spesso nelle guerre la leggenda sia contraria alla veritÀ. Riferi­sce Gustavo Sacerdote nella sua «Vita di Giuseppe Gari­baldi »: Garibaldi stava rifocillandosi quando ecco so­praggiungere da Velletri a briglia sciolta un lanciere: Ge­nerale, dalla cittÀ sboccano in massa cavalleria e fanteria.

Era successo che Re Ferdinando, vista avanzare con tanta temerarietÀ l'avanguardia garibaldina, aveva dato l'ordine al generale Casella di disturbarne la marcia. E immediatamente dopo si impegnÃ’ un vivace combatti­mento tra la cavalleria borbonica ed i famosi lancieri di Masina. Vedendosi improvvisamente di fronte ad una co­lonna molte volte piÙ forte, i belli e valorosi lancieri, che altra volta diedero prova luminosa della loro impa­vida prodezza, sono presi da un inaspettato panico e vol­tano la briglia. Manca Masina, il loro duce, che È al co­mando dell'intera legione.

Accorre allora Garibaldi, il quale, indignato, si slancia contro a loro, si pone di traverso alla loro strada, e col gesto e con la voce tonante, cerca di fermarli. Dietro a lui sta Aguyar, il moro. Due statue equestri, di marmo bianco l'una, di bronzo l'altra.

Ma nella lotta sfrenata i lancieri non riescono piÙ a trattenere i corsieri; e pochi istanti dopo, uomini e ca­valli cadono su Garibaldi e il suo moro, travolgendoli e calpestandoli ».

Insomma per un puro miracolo Garibaldi non fu uc­ciso dagli zoccoli dei cavalli e dei lancieri di Masina ossia dei lancieri della Repubblica Romana, messi in fuga dalla cavalleria e dalla fanteria borboniche che chiudevano la ritirata del loro esercito.

Presente al fatto d'arme che poteva dare cosÃŒ funeste conseguenze per la storia d'Italia, privando il Risorgi­mento di tanto formidabile eroe quale Garibaldi, era una compagnia di volontari ragazzetti romagnoli al comando di Paolo Ramorino, chiamata la compagnia della Speran­za. Tale compagnia fece impeto contro i soldati borbo­nici i quali, eseguita la carica contro i lancieri di Masina, si ritirarono come, del resto, era giÀ stato loro ordinato.

Garibaldi poi scrisse che « dovetti la mia salvezza a quei valorosi giovani, poiché, essendomi passati cavalieri e cavalli sul corpo, ne ero rimasto contuso al punto di non potermi piÙ muovere ».

Finalmente Garibaldi si scioglie da quel groviglio di corpi d'uomini e di cavalli, e si rialza, ammaccato in tutta la parte destra del corpo, al gomito, con l'impronta di un ferro di cavallo sulla mano destra. Ma rimonta su­bito in sella e riprende il combattimento. I soldati bor­bonici ottenuto lo scopo di arrestare il disturbo dato alla ritirata del loro esercito, riprendevano la marcia, non es­sendovi nessuna ragione per continuare il combattimento.

Ora parlare di fuga vergognosa dei borbonici di fronte all'« azione militare dei volontari della Repubblica Ro­mana della colonna di Rosselli e di Garibaldi », È un po' forte.

Parlare di fuga vergognosa quando invece la caval­leria repubblicana era stata messa in fuga dai borbonici, in modo tanto precipitoso da rischiare di ammazzare Ga­ribaldi (che era, come sua abitudine, corso subito appena avvertito di come si mettevano le cose, ) a chi scrive sem­bra veramente ridicolo oltre che grave e quindi È indi­spensabile ristabilire la veritÀ dei fatti e in modo defi­nitivo, cessando cosÃŒ di seguitare a dar fede a cose con­trarie al vero e al buon senso.

Gli eserciti piÙ valorosi hanno sempre e tutti il loro istante di sgomento; e se sono eserciti valorosi, valorosi rimangono, anche se hanno avuto un momentaneo panico come lo ebbero i cavalieri di Masina, dato che di «pa­nico inaspettato » parla Gustavo Sacerdote nella sua bel­lissima e documentarissima « Vita di Garibaldi ».

Ringraziata la Provvidenza perché anche in tale incre­scioso episodio volle rimanesse salvo il Condottiero, che era solo al principio della sua miracolosa opera a bene­ficio della Patria, chi scrive crede che sia bene ora invo­care la Provvidenza affinchÈ volendo realmente arrivare ad una UnitÀ morale tra tutti gli Italiani, certe ridicole leggende create per diffamare i soldati borbonici, vengano dimenticate e sostituite con la veritÀ storica.



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