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L'INTELLIGENZA EMOTIVA

psicologia



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L'INTELLIGENZA EMOTIVA

1. A CHE COSA SERVONO LE EMOZIONI?



'Non si vede bene che col cuore. L'essenziale È invisibile agli occhi'.

ANTOINE DE SAINT-EXUPERY, 'Il piccolo principe' (Trad. it. di Nini Bompiani Bregoli, I Delfini Bompiani, Milano 1995).

Proviamo ad analizzare gli ultimi istanti della vita di Gary e Mary Jane Chauncey, una coppia che si era completamente consacrata alla figlia undicenne Andrea costretta sulla sedia a rotelle da una paralisi cerebrale. La famiglia Chauncey si trovava su un treno che precipitÃ’ in un fiume della Louisiana mentre percorreva un ponte in precedenza urtato da una chiatta. Pensando per prima cosa alla figlia, Gary e Mary Jane fecero tutto quello che poterono per salvare Andrea mentre l'acqua inondava il treno che affondava; in un modo o nell'altro, riuscirono a spingere la bambina fra le braccia dei soccorritori, facendola passare da un finestrino. Poi, quando il vagone affondÃ’ completamente, annegarono (1).

Come un'istantanea, la vicenda di Andrea - e quella di tutti quei genitori il cui ultimo atto eroico È volto a garantire la sopravvivenza dei figli - fissa davanti ai nostri occhi un momento di coraggio di portata quasi epica. Eventi di questo tipo, nei quali i genitori si sacrificano per la prole, si sono sicuramente ripetuti infinite volte non solo nel corso della storia e della preistoria umana, ma anche in quello, ben piÙ lungo, della nostra evoluzione (2). Considerato dal punto di vista dei biologi evoluzionisti, il sacrificio dei genitori È un comportamento che tende ad assicurare il “successo riproduttivo”, ossia la buona riuscita del passaggio dei propri geni alle generazioni future. D'altra parte, se È visto con gli occhi di un genitore che stia prendendo una decisione disperata in un momento critico, lo stesso atto non È altro che amore. Svelandoci lo scopo e il potere delle emozioni, questo esempio di eroismo parentale testimonia il ruolo dell'amore altruista - e di qualunque altra emozione - nella vita umana (3). L'episodio ci mostra come i sentimenti piÙ profondi, le passioni e i desideri piÙ intensi siano per noi guide importantissime, alla cui influenza sulle vicende umane la nostra specie deve in gran parte la propria esistenza. Si tratta di un'influenza davvero straordinaria: solo un amore immenso - la volontÀ disperata di salvare un figlio molto amato - puÃ’ spingere Infatti un essere umano a superare il proprio istinto di conservazione. Se lo si considera da una prospettiva intellettuale, il sacrificio di Gary e Mary Jane fu un atto discutibile e irrazionale; ma se lo si giudica con il cuore, era la sola scelta possibile.

Nel cercare di comprendere come mai l'evoluzione abbia conferito all'emozione un ruolo tanto fondamentale nella psiche umana, i sociobiologi indicano - quale possibile spiegazione - proprio questa prevalenza del cuore sulla mente nei momenti piÙ critici della vita. Essi sostengono che le nostre emozioni ci guidano nell'affrontare situazioni e compiti troppo difficili e importanti perché possano essere affidati al solo intelletto: si pensi ai momenti di grande pericolo, alle perdite dolorose, alla capacitÀ di perseverare nei propri obiettivi nonostante le frustrazioni, allo stabilirsi del legame di coppia e alla costruzione del nucleo familiare. Ogni emozione ci predispone all'azione in modo caratteristico; ciascuna di esse ci orienta in una direzione giÀ rivelatasi proficua per superare le sfide ricorrenti della vita umana - situazioni eterne che si ripeterono infinite volte nella nostra storia evolutiva (4). Il valore del nostro repertorio emozionale ai fini della sopravvivenza trova conferma nel suo imprimersi nel nostro sistema nervoso come bagaglio comportamentale innato: in altre parole, nel fatto che le emozioni finirono per diventare tendenze automatiche del nostro cuore.

Una concezione della natura umana che ignorasse il potere delle emozioni si dimostrerebbe deplorevolmente limitata. La stessa denominazione della nostra specie, 'Homo sapiens' - la specie in grado di pensare - È fuorviante quando la si consideri alla luce delle nuove prospettive che la scienza ci offre per valutare il ruolo delle emozioni nella nostra vita. Come tutti sappiamo per esperienza personale, quando È il momento che decisioni e azioni prendano forma, i sentimenti contano almeno quanto il pensiero razionale, e spesso anche di piÙ. Finora si È data troppa importanza al valore, nella vita umana, della sfera puramente razionale - in altre parole quella misurata dal Q.I. Nel bene o nel male, quando le emozioni prendono il sopravvento, l'intelligenza puÒ non essere di alcun aiuto.

- Quando le passioni hanno il sopravvento sulla ragione.

Quella che sto per narrarvi fu un'autentica tragedia degli errori. Quando Matilda Crabtree, una ragazzina di quattordici anni, saltÃ’ fuori dall'armadio di camera sua gridando “Buh!” al padre, aveva solo intenzione di fare uno scherzo ai genitori che rientravano dopo essere stati a casa d'amici. Ma il padre, sentendo dei rumori in casa all'una di notte, prese la sua calibro 357 e andÃ’ nella cameretta di Matilda per vedere di che cosa si trattasse. Quando la figlia saltÃ’ fuori dall'armadio, Crabtree le sparÃ’ colpendola al collo; Matilda morÃŒ dodici ore dopo (5).

Uno dei retaggi emozionali della nostra evoluzione biologica È la paura che ci spinge a mobilitarci per proteggere la nostra famiglia dai pericoli; fu proprio sotto quest'impulso che Bobby Crabtree prese la pistola e andÃ’ a cercare l'intruso che secondo lui doveva esser penetrato in casa. Fu la paura a fargli premere il grilletto prima ancora di registrare mentalmente a chi stesse sparando - prima ancora di poter riconoscere la voce di sua figlia. I biologi evoluzionisti ipotizzano che reazioni automatiche di questo tipo abbiano finito per imprimersi nel nostro sistema nervoso perché, nell'arco di un lungo periodo critico della preistoria umana, esse rappresentarono davvero la differenza fra la vita e la morte. Fatto ancora piÙ importante, queste reazioni erano essenziali ai fini di quello che È il compito principale dell'evoluzione: riuscire ad avere una progenie alla quale trasmettere queste predisposizioni genetiche molto specifiche - il che suona tristemente ironico, se si pensa al tragico caso della famiglia Crabtree.

Ma se È vero che le emozioni ci hanno guidato con saggezza nel lungo cammino dell'evoluzione, È altrettanto vero che le nuove realtÀ legate alla civilizzazione sono sorte cosÌ velocemente che l'evoluzione - un processo molto lento - non puÒ piÙ tener loro dietro. A pensarci bene, le prime leggi e le prime affermazioni dell'etica - il Codice di Hammurabi, i Dieci Comandamenti degli Ebrei, gli editti dell'imperatore Ashoka - possono essere interpretati come tanti tentativi di imbrigliare, sottomettere e addomesticare la vita emozionale. Come descrisse Freud nel suo 'Disagio della CiviltÀ', la societÀ umana ha dovuto affermarsi partendo da uno stadio nel quale non esistevano regole per arginare le ondate travolgenti degli eccessi emozionali, allora troppo liberi di manifestarsi.

Nonostante questi vincoli sociali, spesso le passioni sopraffanno la ragione: questa caratteristica della natura umana deriva dall'architettura neurale su cui si fonda la vita mentale. Se parliamo in termini di biologia dei fondamentali circuiti neurali dell'emozione, dobbiamo ammettere che quelli di cui siamo dotati sono i meccanismi rivelatisi piÙ funzionali nelle ultime cinquantamila generazioni umane - si badi bene, non nelle ultime cinquemila, e meno che mai nelle ultime cinque. Le forze che hanno plasmato le nostre emozioni, forze evolutive lente e ponderate, hanno impiegato un milione di anni per compiere il loro lavoro; nonostante gli ultimi diecimila anni siano stati testimoni della rapida ascesa della civiltÀ e dell'esplosione della popolazione umana da cinque milioni a cinque miliardi di anime, essi hanno tuttavia lasciato pochissime tracce nella matrice biologica della vita emotiva umana.

Nel bene e nel male, la nostra valutazione di ogni singolo conflitto personale e le reazioni che esso suscita in noi sono plasmate non solo dai nostri giudizi razionali o dalla nostra biografia, ma anche dal nostro passato ancestrale - il che a volte ci conferisce tragiche inclinazioni, come testimoniano i tristi eventi della famiglia Crabtree. In breve, troppo spesso ci capita di dover affrontare dilemmi postmoderni con un repertorio emozionale adatto alle esigenze del Pleistocene. Questa difficilissima situazione È proprio l'argomento di cui intendo occuparmi.

IMPULSI ALL'AZIONE.

Era un giorno all'inizio della primavera, mi trovavo in Colorado e stavo percorrendo in autostrada un passo montano, quando improvvisamente una tempesta di neve cancellÃ’ dalla mia vista l'auto che mi precedeva di pochi metri. Per quanto scrutassi attentamente di fronte a me, non vedevo assolutamente nulla; la neve turbinava ed era adesso di un biancore accecante. Nel premere il pedale del freno sentii l'ansia pervadermi mentre percepivo distintamente il battito del mio cuore.

L'ansia crebbe e divenne paura vera e propria: mi fermai a lato della carreggiata per aspettare che la tormenta finisse. Mezz'ora dopo smise di nevicare, la visibilitÀ tornÒ normale e io ripresi il mio viaggio. Dovetti perÒ interromperlo nuovamente poche centinaia di metri piÙ in lÀ: un'ambulanza stava infatti prestando soccorso al passeggero di un'auto che aveva tamponato una vettura piÙ lenta; le auto coinvolte nell'incidente bloccavano completamente la strada. Se avessi continuato a guidare con la visibilitÀ ridotta dalla neve, le avrei tamponate anch'io.

Quel giorno la prudenza impostami dalla paura probabilmente mi salvÃ’ la vita. Proprio come un coniglio paralizzato dal terrore nel sentire passare una volpe - o come un protomammifero che avesse percepito la presenza di un dinosauro predatore - anch'io ero stato colto di sorpresa da uno stato d'animo che mi aveva obbligato a fermarmi, a stare attento e a guardarmi da un pericolo imminente.

Tutte le emozioni sono, essenzialmente, impulsi ad agire; in altre parole, piani d'azione dei quali ci ha dotato l'evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita. La radice stessa della parola emozione È il verbo latino MOVEO, “muovere”, con l'aggiunta del prefisso “e-” (“movimento da”), per indicare che in ogni emozione È implicita una tendenza ad agire. Il fatto che le emozioni spingano all'azione È ovvio soprattutto se si osservano gli animali o i bambini; È solo negli adulti “civili” che troviamo tanto spesso quella che nel regno animale si puÃ’ considerare una grande anomalia, ossia la separazione delle emozioni - che in origine sono impulsi ad agire - dall'ovvia reazione corrispondente (6).

Nel nostro repertorio, ogni emozione ha un ruolo unico, rivelato dalle sue caratteristiche biologiche distintive (per i dettagli sulle emozioni “fondamentali”, vedi l'Appendice A). Con i nuovi metodi di cui puÃ’ avvalersi la scienza per scrutare nel corpo e nel cervello, i ricercatori stanno scoprendo ulteriori dettagli fisiologici sul modo in cui ciascuna emozione prepara il corpo a un tipo di risposta molto diverso.

- Quando siamo in 'collera', il sangue ci affluisce alle mani e questo rende piÙ facile afferrare un'arma o sferrare un pugno all'avversario; la frequenza cardiaca aumenta e una scarica di ormoni, fra i quali l'adrenalina, genera un impulso di energia abbastanza forte da permettere un'azione vigorosa.

- Se abbiamo 'paura', il sangue fluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli delle gambe, rendendo cosÃŒ piÙ facile la fuga e al tempo stesso facendo impallidire il volto, momentaneamente meno irrorato (ecco da dove viene la sensazione che “si geli il sangue”). Allo stesso tempo, il corpo si immobilizza, come congelato, anche solo per un momento, forse per valutare se non convenga nascondersi. I circuiti dei centri cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mette l'organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all'azione e fissando l'attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore.

- Nella 'felicitÀ', uno dei principali cambiamenti biologici sta nella maggiore attivitÀ di un centro cerebrale che inibisce i sentimenti negativi e aumenta la disponibilitÀ di energia, insieme all'inibizione dei centri che generano pensieri angosciosi. Tuttavia, a parte uno stato di quiescenza che consente all'organismo di riprendersi piÙ rapidamente dall'attivazione biologica causata da emozioni sconvolgenti, non si riscontrano particolari cambiamenti fisiologici. Questa configurazione offre all'organismo un generale riposo, e lo rende non solo disponibile ed entusiasta nei riguardi di qualunque compito esso debba intraprendere ma anche pronto a battersi per gli obiettivi piÙ diversi.

- L''amore', i sentimenti di tenerezza e la soddisfazione sessuale comportano il risveglio del sistema parasimpatico; in altre parole, si tratta della mobilitazione opposta a quella che abbiamo visto nella reazione di “combattimento o fuga” tipica della paura e della collera. La modalitÀ parasimpatica, che potremmo anche chiamare “risposta di rilassamento” si avvale di un insieme di reazioni che interessano tutto l'organismo e inducono uno stato generale di calma e soddisfazione tale da facilitare la cooperazione.

- Nella 'sorpresa' il sollevamento delle sopracciglia consente di avere una visuale piÙ ampia e di far arrivare piÙ luce sulla retina. Questo permette di raccogliere un maggior numero di informazioni sull'evento inatteso, contribuendo alla sua comprensione e facilitando la rapida formulazione del migliore piano d'azione.

- In tutto il mondo l'espressione di 'disgusto' È la stessa, e invia il medesimo messaggio: qualcosa offende il gusto o l'olfatto, anche metaforicamente. Come giÀ aveva osservato Darwin, l'espressione facciale del disgusto - il labbro superiore sollevato lateralmente mentre il naso accenna ad arricciarsi - indica il tentativo primordiale di chiudere le narici colpite da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso.

- La 'tristezza' ha la funzione fondamentale di farci adeguare a una perdita significativa, ad esempio a una grande delusione o alla morte di qualcuno che ci era particolarmente vicino. Essa comporta una caduta di energia ed entusiasmo verso le attivitÀ della vita in particolare per le distrazioni e i piaceri - e, quando diviene piÙ profonda e si avvicina alla depressione, ha l'effetto di rallentare il metabolismo. La chiusura in se stessi che accompagna la tristezza ci dÀ l'opportunitÀ di elaborare il lutto per una perdita o per una speranza frustrata, di comprendere le conseguenze di tali eventi nella nostra vita e, quando le energie ritornano, di essere pronti per nuovi progetti. PuÒ darsi che un tempo questa caduta di energia servisse a tenere i primi esseri umani vicini ai loro rifugi - e quindi al sicuro - quando erano tristi e perciÒ piÙ vulnerabili.

Queste inclinazioni biologiche a un certo tipo di azione vengono poi ulteriormente plasmate dall'esperienza personale e dalla cultura. Ad esempio, la perdita di una persona amata suscita universalmente tristezza e dolore. Ma il modo in cui esterniamo il nostro lutto - il modo in cui le emozioni sono esibite in pubblico o trattenute in modo da esprimerle solo in privato - È forgiato dalla cultura; analogamente, dipendono dalla cultura i criteri con i quali le persone vengono classificate o meno nella categoria di quelle “amate” delle quali si debba piangere la morte.

Il lungo periodo dell'evoluzione durante il quale queste risposte emozionali si andarono forgiando fu certamente caratterizzato da una realtÀ ben piÙ dura di quella che la maggior parte degli esseri umani si trovÒ poi a dover affrontare in quanto specie a partire dagli albori della storia. Era un tempo in cui pochi bambini sopravvivevano all'infanzia e pochi adulti superavano i trent'anni; un tempo in cui i predatori potevano colpire in ogni momento; un tempo, infine, in cui il capriccioso alternarsi di siccitÀ e inondazioni si traduceva nello spettro della fame o nella possibilitÀ di sopravvivere. Ma con l'imporsi dell'agricoltura e delle societÀ umane, anche molto primitive, le probabilitÀ di sopravvivenza cominciarono ad aumentare sensibilmente. Negli ultimi diecimila anni, quando queste conquiste si affermarono in tutto il mondo, le feroci pressioni che avevano tenuto in scacco le popolazioni umane andarono costantemente allentandosi.

Erano state quelle stesse pressioni a rendere le nostre risposte emozionali cosÌ preziose per la sopravvivenza; quando esse cessarono, venne meno anche il perfetto adattamento del nostro repertorio emozionale. Se È vero che nel passato piÙ remoto la propensione alla collera poteva costituire un vantaggio di cruciale importanza in termini di sopravvivenza, oggi che le armi automatiche sono a portata di mano dei tredicenni una tale inclinazione puÒ troppo spesso portare a reazioni disastrose (8).

LE NOSTRE DUE MENTI.

Un'amica mi raccontava del suo divorzio, una separazione molto dolorosa. Il marito si era innamorato di un'altra donna piÙ giovane e improvvisamente le aveva annunciato che sarebbe andato a vivere con lei. SeguÃŒ un periodo di amare contese sulla casa, il denaro e la custodia dei figli. A distanza di qualche mese, la mia amica mi stava confidando che l'indipendenza le piaceva e che era felice di stare da sola. “Semplicemente, ecco, non penso piÙ a lui - davvero non me ne importa” affermÃ’. Ma non appena aveva pronunciate queste parole, gli occhi le si riempirono di lacrime.

Quegli occhi lucidi potevano facilmente passare inosservati. Ma la comprensione empatica della tristezza che essi tradivano a dispetto delle parole È un atto di decodifica proprio come la capacitÀ di trarre significati dai caratteri stampati su una pagina. Nel primo caso, È all'opera la mente emozionale, nel secondo quella razionale. A tutti gli effetti abbiamo due menti, una che pensa, l'altra che sente.

Queste due modalitÀ della conoscenza, cosÃŒ fondamentalmente diverse, interagiscono per costruire la nostra vita mentale. La mente razionale È la modalitÀ di comprensione della quale siamo solitamente coscienti: dominante nella consapevolezza e nella riflessione, capace di ponderare e di riflettere. Ma accanto ad essa c'È un altro sistema di conoscenza - impulsiva e potente, anche se a volte illogica, c'È la mente emozionale. (Per una descrizione piÙ dettagliata della mente emozionale, vedi l'Appendice B.) La dicotomia emozionale/razionale È simile alla popolare distinzione fra “cuore” e “mente”; quando sappiamo che qualcosa È giusto “con il cuore” la nostra convinzione È di un ordine diverso - in qualche modo È una certezza piÙ profonda - di quando pensiamo la stessa cosa con la mente razionale. Il rapporto fra razionale ed emozionale nel controllo della mente varia lungo un gradiente continuo; quanto piÙ intenso È il sentimento, tanto piÙ dominante È la mente emozionale - e piÙ inefficace quella razionale. Questa situazione sembra derivare dal vantaggio evolutivo, affermatosi nel corso di tempi lunghissimi, rappresentato dall'essere guidati dalle emozioni e dalle intuizioni quando sia necessaria una reazione immediata in un contesto di pericolo - circostanze nelle quali indugiare a pensare sul da farsi potrebbe costarci la vita.

Nella maggior parte dei casi, queste due menti, l'emozionale e la razionale, operano in grande armonia e le loro modalitÀ di conoscenza, cosÌ diverse, si integrano reciprocamente per guidarci nella realtÀ. Di solito c'È un equilibrio fra mente razionale ed emozionale; l'emozione alimenta e informa le operazioni della mente razionale, mentre questa rifinisce e a volte oppone il veto agli input delle emozioni. Tuttavia, la mente emozionale e quella razionale sono facoltÀ semiindipendenti: ciascuna di esse, come vedremo, riflette il funzionamento di circuiti cerebrali distinti sebbene interconnessi.

Spesso - forse quasi sempre - queste due menti sono perfettamente coordinate; i sentimenti sono essenziali per il pensiero razionale, proprio come questo lo È per i sentimenti. Ma quando le passioni aumentano d'intensitÀ, l'equilibrio si capovolge: la mente emozionale prende il sopravvento, travolgendo quella razionale. Erasmo da Rotterdam, l'umanista del sedicesimo secolo, descrisse in toni satirici questa perenne tensione fra ragione ed emozione (9):

'[] Considerate voi stessi in qual rapporto Giove abbia distribuito agli uomini ragione e passione [] Sarebbe come paragonare una semioncia ad un asse [] Giove alla ragione ha messo contro due nemici accaniti: l'ira [] e la concupiscenza. Con quanto successo la ragione contrasti con questi due nemici, basta a dimostrarlo la vita d'ogni giorno: tutto il suo potere si esaurisce nell'arrochirsi a predicare i comandamenti dell'onestÀ, mentre ira e lussuria tendono dei tranelli alla loro regina, con tanto strepito e clamore che quella, stanca, infine si arrende e cede le armi' (Trad. it. di Luca D'Ascia, Bur Rizzoli, Milano 1994).

- L'evoluzione del cervello.

Per meglio comprendere la grande influenza delle emozioni sulla mente razionale - e per capire anche come mai il sentimento e la ragione entrino in conflitto tanto facilmente - bisogna considerare il modo in cui si È evoluto il cervello umano, che con il suo chilo e mezzo di cellule e umori nervosi ha dimensioni circa triple rispetto a quello dei primati non umani, ossia dei nostri cugini piÙ prossimi dal punto di vista filogenetico. Nell'arco di milioni di anni di evoluzione, il cervello ha sviluppato i suoi centri superiori elaborando e perfezionando le aree inferiori, piÙ antiche. (La crescita del cervello nell'embrione umano ripercorre a grandi linee questa traiettoria evolutiva.)

La parte piÙ primitiva del cervello, che l'uomo ha in comune con tutte le specie dotate di un sistema nervoso relativamente sviluppato, È il tronco cerebrale che circonda l'estremitÀ cefalica del midollo spinale. Esso regola funzioni vegetative fondamentali come il respiro e il metabolismo degli altri organi; inoltre, controlla le reazioni e i movimenti stereotipati. Non si puÒ affermare che questo cervello primitivo sia in grado di pensare o apprendere; piuttosto, si tratta di una serie di centri regolatori programmati per mantenere il corretto funzionamento e l'appropriata reattivitÀ dell'organismo, in modo da assicurarne la sopravvivenza. Questo tipo di cervello dominava nell'Era dei Rettili (ancora oggi, lo vediamo in azione in un serpente che sibila in segno di minaccia).

Da questa struttura molto primitiva, il tronco cerebrale, derivarono i centri emozionali. Milioni di anni dopo, nel corso dell'evoluzione, da questi centri emozionali si evolsero le aree del cervello pensante ossia la “neocorteccia” - la grande massa di tessuto nervoso convoluto che costituisce i livelli cerebrali superiori. Il fatto che il cervello pensante si sia evoluto da quello emozionale ci dice molto sui rapporti fra pensiero e sentimento: molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva giÀ quello emozionale.

Le radici piÙ antiche della nostra vita emotiva affondano nel senso dell'olfatto o, piÙ precisamente, nel lobo olfattivo, dove sono situate le cellule che ricevono e analizzano gli odori. Ogni essere vivente - sia esso commestibile o velenoso, un partner sessuale, un predatore o una preda - ha una marcatura molecolare distintiva che puÒ essere trasportata dal vento. In quei tempi ancestrali, l'olfatto si dimostrÒ un senso di importanza enorme ai fini della sopravvivenza.

Dal lobo olfattivo cominciarono poi a evolversi gli antichi centri emozionali, che infine divennero abbastanza grandi da circondare l'estremitÀ cefalica del tronco cerebrale. Inizialmente, il centro olfattivo era costituito da poco piÙ di un sottile strato di neuroni, riunitisi in una struttura finalizzata all'analisi degli odori. Uno strato di cellule recepiva ciÒ che veniva odorato e lo classificava nelle principali categorie: sessualmente disponibile, nemico o pasto potenziale, commestibile o tossico. Un secondo strato di cellule inviava, attraverso il sistema nervoso, messaggi riflessi per informare l'organismo sul da farsi: avvicinarsi, fuggire, inseguire, mordere, sputare (10).

Con la comparsa dei primi mammiferi, nel cervello emozionale apparvero nuovi livelli fondamentali che, circondando il tronco encefalico somigliavano approssimativamente a un 'bagel' dal cui fondo fosse stato staccato un morso, proprio dove È annidato il tronco cerebrale. Poiché questa parte del cervello circonda e delimita il tronco cerebrale, venne chiamata “sistema limbico” (dal latino 'imbus', “anello”). Questo nuovo territorio neurale aggiunse al repertorio cerebrale le emozioni che gli sono proprie (11). Quando siamo stretti nella morsa del desiderio o dell'ira, follemente innamorati o terrorizzati a morte, siamo in balia del sistema limbico.

Quando si evolse, il sistema limbico perfezionÃ’ due strumenti potenti: l'apprendimento e la memoria. Queste conquiste rivoluzionarie consentivano a un animale di essere piÙ intelligente nelle sue scelte per la sopravvivenza, e di regolare finemente le proprie risposte in modo da adattarle ad esigenze mutevoli senza piÙ dover reagire in modo automatico e rigidamente invariabile. Se un tipo di cibo si era rivelato nocivo, la volta successiva poteva essere evitato. Decisioni riguardanti quali cibi consumare e quali rifiutare erano ancora determinate in larga misura dall'olfatto; a quel punto, le connessioni fra bulbo olfattivo e sistema limbico si assunsero il compito di distinguere gli odori e riconoscerli, confrontandoli con quelli giÀ percepiti in passato e discriminando cosÃŒ il buono dal cattivo. Queste funzioni vennero assunte dal “rinencefalo” o cervello olfattivo, che fa parte del circuito limbico e rappresenta il rudimento dal quale si sviluppÃ’ la neocorteccia, ossia il cervello pensante.

Circa 100 milioni di anni fa, il cervello dei mammiferi cominciÒ a svilupparsi molto velocemente. Alla sottile corteccia allora costituita da due soli strati - le regioni responsabili dell'attivitÀ di programmazione, che comprendono ciÒ che viene percepito e coordinano il movimento - andarono ad aggiungersi diversi altri strati di cellule nervose, che formarono la neocorteccia. Rispetto alla struttura corticale bistratificata del cervello piÙ antico, la neocorteccia offriva ora uno straordinario vantaggio in termini di possibilitÀ intellettuali.

La neocorteccia di 'Homo sapiens', tanto piÙ sviluppata che nelle altre specie, È responsabile di tutte le nostre capacitÀ segnatamente umane. Essa È sede del pensiero; contiene i centri che integrano e comprendono quanto viene percepito dai sensi; e inoltre, aggiunge ai sentimenti ciÒ che noi pensiamo di essi - e ci consente di provare sentimenti a proposito delle idee, dell'arte, dei simboli e dell'immaginazione.

Nel corso dell'evoluzione la neocorteccia permise una regolazione fine che senza dubbio comportÒ enormi vantaggi ai fini della capacitÀ di un organismo di sopravvivere alle avversitÀ, aumentando nel contempo le probabilitÀ che la sua progenie trasmettesse alle generazioni future i geni codificanti quegli stessi circuiti neurali. Il vantaggio per la sopravvivenza garantito dalla neocorteccia È dovuto alla sua capacitÀ di ideare programmi a lungo termine e di escogitare strategie mentali e altri espedienti. Al di lÀ di questo, i trionfi dell'arte, della civiltÀ e della cultura sono tutti frutto dell'attivitÀ neocorticale.

Questa nuova componente del cervello consentÌ l'aggiunta di altrettante nuove sfumature alla vita emotiva. Prendiamo ad esempio l'amore. Le strutture limbiche generano sentimenti di piacere e di desiderio - ossia, le emozioni che alimentano la passione sessuale. Ma fu l'aggiunta della neocorteccia e delle sue connessioni con il sistema limbico, a permettere il legame affettivo madre-figlio e cioÈ quel sentimento che rende possibile lo sviluppo umano rappresentando la base dell'unitÀ familiare e della dedizione a lungo termine necessaria per allevare i figli. (Nelle specie prive di neocorteccia, come i rettili, manca l'affetto materno; quando i piccoli escono dall'uovo, devono nascondersi per non essere divorati dai loro stessi genitori.) Negli esseri umani, il legame protettivo che si instaura fra genitore e figlio consente che gran parte della maturazione prosegua nel corso di una infanzia che si protrae a lungo e durante la quale il cervello continua a svilupparsi.

Quando ci spostiamo nella scala filogenetica passando dai rettili alle scimmie rhesus fino agli esseri umani, osserviamo che la massa della neocorteccia aumenta; parallelamente a tale aumento si osserva un moltiplicarsi, in progressione geometrica, delle interconnessioni dei circuiti cerebrali. Quanto piÙ grande È il numero di tali connessioni, tanto piÙ ampia È la gamma delle possibili risposte. La neocorteccia rende possibili le finezze e la complessitÀ della vita emozionale, ad esempio la capacitÀ di provare sentimenti sui propri sentimenti. Nei primati, il rapporto fra neocorteccia e sistema limbico È potenziato rispetto alle altre specie - e lo È immensamente negli esseri umani; ecco perché disponendo di un numero molto maggiore di sfumature siamo in grado di reagire alle nostre emozioni esibendo una gamma di risposte di gran lunga piÙ ampia di quanto non possano fare le altre specie. Le modalitÀ di risposta di un coniglio o di una scimmia rhesus alla paura sono alquanto limitate; la neocorteccia umana, invece, essendo piÙ sviluppata, permette un repertorio di gran lunga piÙ articolato - ivi compresa la possibilitÀ di chiamare il 113. Quanto piÙ complesso È il sistema sociale, tanto piÙ essenziale diventa questa flessibilitÀ - e di certo non esiste universo sociale piÙ complesso del nostro (12).

Questi centri superiori, perÃ’, non governano tutta la vita emotiva; nelle fondamentali questioni di cuore - e soprattutto nelle emergenze emozionali - essi sono sottomessi al sistema limbico. Poiché molti centri cerebrali superiori si svilupparono dal sistema limbico, o ne estesero il raggio d'azione, il cervello emozionale ha un ruolo fondamentale nell'architettura neurale. Come fonte dalla quale si sono sviluppate le parti piÙ recenti del cervello, le aree emozionali sono strettamente collegate a tutte le zone della neocorteccia attraverso una miriade di circuiti di connessione. CiÃ’ conferisce ai centri emozionali l'immenso potere di influenzare il funzionamento di tutte le altre aree del cervello - compresi i centri del pensiero.

2. ANATOMIA DI UN “SEQUESTRO” EMOZIONALE.

'La vita È una commedia per coloro che pensano e una tragedia per coloro che sentono'.

HORACE WALPOLE.

Era un caldo pomeriggio d'agosto del 1963, lo stesso giorno in cui il reverendo Martin Luther King tenne il suo celebre discorso, “I Have a Dream”, in occasione di una marcia su Washington per i diritti civili. Quel giorno, Richard Robles, uno scassinatore incallito che era stato appena rilasciato sulla parola dopo una condanna a tre anni per le oltre cento effrazioni effettuate per procurarsi l'eroina, decise di mettere a segno un altro colpo. In seguito Robles raccontÃ’ che si era deciso a rinunciare al crimine, ma che aveva un disperato bisogno di denaro per la sua compagna e la loro bambina di tre anni.

L'appartamento in cui penetrÃ’ quel giorno era quello di due giovani donne, la ventunenne Janice Wylie, che lavorava presso la rivista 'Newsweek', e la ventitreenne Emily Hoffert, una maestra elementare. Sebbene Robles avesse scelto per la rapina un appartamento nell'Upper East Side - una zona elegante di New York - perché pensava di non trovarci nessuno, Janice era in casa. Minacciandola con un coltello, Robles la legÃ’; poi, mentre se ne stava andando, Emily rientrÃ’ a casa. Per coprirsi la fuga, Robles cominciÃ’ a legare anche lei.

A distanza di anni Robles racconta che mentre stava legando Emily, Janice Wylie gli disse che non l'avrebbe fatta franca: affermÃ’ che avrebbe ricordato la sua faccia e si sarebbe data da fare per aiutare la polizia ad acciuffarlo. Avendo promesso a se stesso che quello sarebbe stato il suo ultimo colpo, a quelle parole Robles fu assalito dal panico e perse completamente il controllo. Come una furia, afferrÃ’ una bottiglia di soda e la usÃ’ per colpire le due donne finché non persero i sensi; poi, travolto dalla collera e dalla paura, le massacrÃ’ con un coltello da cucina. Ripensando a quei momenti circa venticinque anni dopo, Robles affermava: “Ero completamente fuori di me. La mia testa era come esplosa”.

Finora, Robles ha avuto modo di rimpiangere moltissime volte quei pochi istanti di collera incontrollata. Mentre sto scrivendo egli È ancora in prigione, a distanza di circa trent'anni, per quello che divenne noto come “l'assassinio delle ragazze in carriera”.

Tali esplosioni emozionali sono una sorta di “sequestro” neurale. Sembra che in quei momenti, un centro del sistema limbico dichiari lo stato di emergenza imponendo a tutto il resto del cervello il proprio impellente ordine del giorno (in altre parole, “sequestrandolo”). Il colpo di mano avviene in un attimo, innescando la reazione alcuni istanti prima che la neocorteccia - il cervello pensante - abbia avuto la possibilitÀ di comprendere appieno ciÃ’ che sta accadendo - e quindi sicuramente prima che abbia potuto valutare se si tratti o meno di una buona idea. Il carattere distintivo di questo “sequestro” neurale È che, una volta passato il momento cruciale, le persone che ne sono state vittime hanno la sensazione di non sapere che cosa sia capitato loro.

Questi “sequestri” neurali non sono assolutamente incidenti isolati e orribili che portano automaticamente a crimini come quello che abbiamo appena descritto. In forma meno catastrofica - ma non necessariamente meno intensa - essi ci capitano con una discreta frequenza. Provate a pensare all'ultima volta che avete perso le staffe e avete messo le mani addosso a qualcuno - forse a vostra moglie o a vostro figlio, o magari a un altro automobilista - trascendendo a tal punto che in seguito, riflettendo con il senno di poi, la vostra reazione vi È sembrata ingiustificata. Con ogni probabilitÀ si È trattato anche in quel caso di uno di questi “sequestri” neurali che, come vedremo, hanno origine nell'amigdala, un centro del sistema limbico del cervello.

Non tutti i “sequestri” messi a segno dal sistema limbico hanno un carattere sconvolgente. Quando qualcuno trova una barzelletta talmente spassosa da riderne a crepapelle, anche quella È una risposta del sistema limbico. Esso È all'opera anche in momenti di intensa gioia: Dan Jansen aveva tristemente fallito diversi tentativi di cogliere l'oro olimpico per il pattinaggio su ghiaccio in velocitÀ, impresa che aveva fatto voto di realizzare per la sorella morente; quando finalmente vinse l'oro nella specialitÀ dei 1000 metri alle Olimpiadi Invernali del 1994 in Norvegia, sua moglie fu talmente sopraffatta dall'eccitazione e dalla felicitÀ che dovette ricorrere d'urgenza alle cure dei medici che si trovavano ai bordi della pista, pronti a intervenire in caso di emergenza.

- La sede di tutte le passioni.

Negli esseri umani l'amigdala (un termine derivante dalla parola greca che significa “mandorla”) È un gruppo di strutture interconnesse, a forma appunto di mandorla, posto sopra il tronco cerebrale vicino alla parte inferiore del sistema limbico. Ci sono due amigdale, una su ciascun lato del cervello. L'amigdala umana È relativamente voluminosa rispetto a quella di tutti gli altri primati (le specie a noi piÙ affini dal punto di vista evolutivo). L'ippocampo e l'amigdala erano due parti fondamentali del rinencefalo che, nel corso della filogenesi, diede origine alla corteccia primitiva e poi alla neocorteccia. Oggi queste strutture limbiche compiono gran parte del lavoro di apprendimento e memorizzazione svolto dal cervello; l'amigdala È specializzata nelle questioni emozionali: se viene resecata dal resto del cervello, il risultato È una evidentissima incapacitÀ di valutare il significato emozionale degli eventi - condizione che viene a volte indicata con l'espressione “cecitÀ affettiva”.

Private del loro significato emozionale, le interazioni umane perdono di interesse. Un giovane al quale era stata rimossa chirurgicamente l'amigdala per controllare i gravi attacchi epilettici cui era soggetto perse completamente ogni interesse per le persone, e preferiva starsene seduto da solo senza aver alcun contatto umano. Sebbene fosse perfettamente capace di conversare, non riconosceva piÙ i suoi amici, i parenti e nemmeno sua madre, e rimaneva impassibile di fronte all'angoscia che il suo comportamento indifferente suscitava in loro. Privato di un'amigdala, egli sembrava non solo aver perduto tutta la sua capacitÀ di riconoscere i sentimenti, ma anche quella di provare sentimenti sui sentimenti (1). L'amigdala funziona come un archivio della memoria emozionale ed È quindi depositaria del significato stesso degli eventi; la vita senza l'amigdala È un'esistenza spogliata di significato personale.

All'amigdala È legato qualcosa di piÙ dell'affetto: tutte le passioni dipendono da essa. Gli animali ai quali essa sia stata rimossa o resecata non provano piÙ rabbia o paura, perdono l'impulso a cooperare o a competere e non hanno piÙ percezione alcuna della propria posizione nell'ordine sociale della specie cui appartengono; l'emozione È smorzata o assente. Le lacrime, un segnale emozionale esclusivo degli esseri umani, sono stimolate dall'amigdala e dal giro del cingolo, una struttura ad essa vicina; l'attivitÀ di tali regioni del cervello viene smorzata quando siamo sorretti, accarezzati o confortati in qualche altro modo, e questo placa i singhiozzi del pianto. Ma senza l'amigdala, non ci sarebbe alcun pianto da confortare.

Joseph LeDoux, un neuroscienziato che lavora al Center for Neural Science della New York University, fu il primo a scoprire il ruolo fondamentale dell'amigdala nel cervello emozionale (2). LeDoux fa parte di una nuova scuola di neuroscienziati i quali, ricorrendo a metodi e tecnologie innovative che consentono di mappare il cervello del vivente con un livello di precisione precedentemente impensabile, hanno potuto mettere a nudo misteri della mente che in passato erano rimasti inaccessibili a intere generazioni di scienziati. Le scoperte di LeDoux sui circuiti del cervello emozionale hanno rovesciato idee sul sistema limbico che avevano resistito a lungo, ponendo l'amigdala al centro dell'azione e attribuendo alle altre strutture limbiche ruoli molto diversi (3).

La ricerca di LeDoux spiega in che modo l'amigdala riesca a mantenere il controllo sulle nostre azioni anche quando il cervello pensante - la neocorteccia - deve ancora arrivare a una decisione. Come vedremo, l'attivitÀ dell'amigdala e la sua interazione con la neocorteccia sono al centro dell'intelligenza emotiva.

- Un “grilletto” molto sensibile.

Estremamente interessanti per comprendere il potere delle emozioni nella vita mentale sono i momenti in cui agiamo spinti dalla passione - momenti dei quali piÙ tardi, una volta placatasi la tempesta, ci pentiamo; il punto sta nel cercare di capire come mai sia tanto facile diventare cosÌ irrazionali. Prendiamo, ad esempio, il caso di quella giovane donna che si sobbarcÒ due ore di macchina fino a Boston per far colazione con il fidanzato e passare la giornata con lui. Durante la colazione, egli le diede un regalo che la giovane desiderava da mesi, una stampa artistica molto difficile da trovare, fatta venire dalla Spagna. Ma la gioia della donna svanÌ quando propose al fidanzato di recarsi, subito dopo colazione, a vedere un film che le interessava: l'uomo la lasciÒ di sasso spiegandole che aveva un allenamento di softball e che quindi non potevano passare la giornata insieme. Ferita e incredula, la giovane scoppiÒ in lacrime, lasciÒ il locale e, d'impulso, gettÒ la stampa in un cestino dei rifiuti. Mesi dopo, raccontando l'incidente, non si rammaricava di aver piantato in asso il fidanzato seduto al tavolo del locale, ma rimpiangeva ancora la perdita della stampa.

E' in momenti come questi - quando il sentimento impulsivo travolge la nostra componente razionale - che il ruolo appena scoperto dell'amigdala È fondamentale. I segnali in entrata provenienti dagli organi di senso consentono all'amigdala di analizzare ogni esperienza andando, per cosÃŒ dire, a caccia di guai. Questo suo ruolo mette l'amigdala in una posizione di grande influenza nella vita mentale, facendone una sorta di sentinella psicologica che scandaglia ogni situazione e ogni percezione, sempre guidata da un unico interrogativo, il piÙ primitivo: “E' qualcosa che odio? Qualcosa che mi ferisce? Qualcosa che temo?”. Se la risposta È affermativa - se in qualche modo la situazione profila un “SÃŒ” - l'amigdala scatta immediatamente, come una sorta di “grilletto” neurale e reagisce telegrafando un messaggio di crisi a tutte le parti del cervello.

Nell'architettura cerebrale, l'amigdala È come una di quelle centraline programmate per inviare chiamate di emergenza ai vigili del fuoco, alla polizia e a un vicino di casa ogniqualvolta il sistema di allarme istallato all'interno di un'abitazione segnali un problema.

Quando scatta l'allarme della paura, ad esempio, l'amigdala invia messaggi di emergenza a tutte le parti principali del cervello: stimola la secrezione degli ormoni che innescano la reazione di combattimento o fuga, mobilita i centri del movimento e attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l'intestino (4). Altri circuiti che si dipartono dall'amigdala segnalano l'ordine di secernere piccole quantitÀ di noradrenalina, un ormone che aumenta la reattivitÀ delle aree chiave del cervello, comprese quelle che rendono piÙ vigili i sensi, mettendolo cosÌ in uno stato di allerta. Altri segnali emessi dall'amigdala ordinano al tronco cerebrale di far assumere al volto un'espressione spaventata, di bloccare i movimenti eventualmente giÀ intrapresi dai muscoli, di accelerare la frequenza cardiaca e innalzare la pressione sanguigna, rallentando nel contempo il respiro. Altri segnali ancora attirano l'attenzione su ciÒ che ha scatenato la paura e preparano la muscolatura a reagire in modo appropriato. Simultaneamente, i sistemi mnemonici corticali vengono riorganizzati con precedenza assoluta per richiamare ogni informazione utile nella situazione di emergenza contingente.

E questi sono solo una parte di tutti i cambiamenti, meticolosamente coordinati, che l'amigdala armonizza arruolando le aree di tutto il cervello (per una descrizione piÙ dettagliata, si veda l'Appendice C). L'estesa rete di connessioni neurali dell'amigdala le consente, durante un'emergenza emozionale, di “sequestrare” gran parte del resto del cervello - ivi compresa la mente razionale - e di imporle i propri comandi.

- La sentinella delle emozioni.

Un amico mi raccontava che un giorno, mentre era in vacanza in Inghilterra, stava facendo colazione in un caffÈ sulla riva di un canale. Finito di mangiare, mentre faceva quattro passi verso la riva, vide improvvisamente una ragazzina che fissava l'acqua con il volto paralizzato in una smorfia di terrore. Senza sapere perché, si gettÃ’ nel canale con cappotto, cravatta e tutto il resto. Solo dopo essersi tuffato si rese conto che la ragazzina stava fissando scioccata un bimbetto di un paio d'anni caduto in acqua, che egli riuscÃŒ poi a portare in salvo.

Che cosa lo spinse a saltare in acqua prima ancora di sapere perché? Molto probabilmente la risposta È: l'amigdala.

In una delle ricerche sulle emozioni piÙ significative fra quelle degli ultimi dieci anni, LeDoux scoprÃŒ che l'architettura del cervello conferisce all'amigdala una posizione privilegiata in qualitÀ di sentinella delle emozioni capace, all'occorrenza, di “sequestrare” il cervello (5). La sua ricerca ha dimostrato che nel cervello gli input sensoriali provenienti dall'occhio o dall'orecchio viaggiano dapprima diretti al talamo e poi - servendosi di un circuito monosinaptico - all'amigdala; un secondo segnale viene poi inviato dal talamo alla neocorteccia - il cervello pensante. Questa ramificazione permette all'amigdala di cominciare a rispondere PRIMA della neocorteccia; quest'ultima, infatti, elabora le informazioni attraverso vari livelli di circuiti cerebrali prima di poterle percepire in modo davvero completo e di iniziare infine la sua risposta, che risulta quindi molto piÙ raffinata rispetto a quella dell'amigdala.

La ricerca di LeDoux ha rivoluzionato la nostra comprensione della vita emotiva perché È la prima ad aver scoperto l'esistenza di vie neurali emozionali che aggirano la neocorteccia. I segnali che prendono la via diretta passante per l'amigdala corrispondono ai sentimenti piÙ primitivi e potenti; la conoscenza di questo circuito È di grande aiuto per spiegare la capacitÀ dell'emozione di soffocare la razionalitÀ.

I neuroscienziati avevano sempre creduto che l'occhio, l'orecchio e gli altri organi di senso trasmettessero i loro segnali al talamo, e che questo li inviasse poi alle aree della neocorteccia deputate all'elaborazione sensoriale, dove essi erano integrati a formare le nostre percezioni degli oggetti. I segnali vengono classificati a seconda del loro significato in modo che il cervello riconosca ciascun oggetto e il significato della sua presenza. Secondo la vecchia teoria, dalla neocorteccia i segnali erano poi inviati al sistema limbico, dal quale si sarebbe poi irradiata la risposta appropriata attraverso il cervello e il resto del corpo. Effettivamente, questo È proprio ciÃ’ che accade nella maggior parte dei casi; LeDoux tuttavia ha scoperto che, oltre alla via che dal talamo va alla corteccia, esiste un fascio piÙ sottile di fibre nervose che vanno direttamente all'amigdala. Questa via, piÙ sottile e piÙ breve - una sorta di “vicolo” neurale - permette all'amigdala di ricevere alcuni input direttamente dagli organi di senso; essa puÃ’ cosÃŒ cominciare a rispondere PRIMA che quegli stessi input siano stati completamente registrati dalla neocorteccia.

Questa scoperta capovolge l'idea secondo la quale, per formulare le sue reazioni emozionali, l'amigdala dipenderebbe totalmente dai segnali provenienti dalla neocorteccia. Essa puÒ invece innescare una risposta emozionale attraverso questa via di emergenza proprio mentre viene attivato un circuito riverberante parallelo con la neocorteccia. L'amigdala puÒ spingerci all'azione mentre la neocorteccia, leggermente piÙ lenta - ma in possesso di informazioni piÙ complete prepara il suo piano di reazione piÙ raffinato.

Con la sua ricerca sulla paura negli animali, LeDoux rivoluzionÃ’ la nostra conoscenza sulle vie percorse nel cervello dai segnali emozionali. In un esperimento fondamentale, condotto nel ratto, egli distrusse la corteccia uditiva e poi espose gli animali a un suono, associandolo alla somministrazione di uno shock elettrico. Ben presto, i ratti impararono a temere il suono, anche se esso non poteva essere registrato dalla loro neocorteccia, ma prendeva la via diretta dall'orecchio al talamo all'amigdala, evitando i circuiti superiori. In breve, i ratti avevano appreso una reazione emotiva senza alcun coinvolgimento da parte dei centri corticali superiori: l'amigdala percepiva, ricordava e modulava la loro paura in modo del tutto autonomo.

“Dal punto di vista anatomico, il sistema emozionale puÃ’ agire indipendentemente dalla neocorteccia” mi disse LeDoux. “Alcuni ricordi e reazioni emotive possono formarsi senza alcuna partecipazione cognitiva cosciente.” Nell'amigdala possono esserci ricordi e repertori di risposte che vengono messi in atto senza che ci si renda assolutamente conto del perché si agisca in quel modo, e questo perché la scorciatoia dal talamo all'amigdala esclude completamente la neocorteccia. Questo aggiramento sembra consentire all'amigdala di assumere il ruolo di archivio di impressioni e ricordi emozionali dei quali non abbiamo mai una conoscenza pienamente consapevole. LeDoux ipotizza che sia proprio questo ruolo mnemonico dell'amigdala, per cosÃŒ dire sotterraneo, a spiegare i risultati sbalorditivi di un esperimento nel corso del quale i soggetti manifestavano preferenze per strane figure geometriche, pur non avendo alcuna consapevolezza di averle mai viste, in quanto erano state mostrate loro molto velocemente! (6)

Altre ricerche hanno dimostrato che nei primi millisecondi della percezione non solo comprendiamo in modo inconscio quale sia l'oggetto percepito, ma decidiamo anche se esso ci piace o no; l'“inconscio cognitivo” presenta poi alla nostra consapevolezza non solo l'identitÀ di ciÃ’ che vediamo, ma anche un vero e proprio giudizio su di esso (7). Le nostre emozioni hanno una mente che si occupa di loro e che puÃ’ avere opinioni del tutto indipendenti da quelle della mente razionale.

- Lo specialista della memoria emozionale.

Queste opinioni inconsce sono memorie emozionali archiviate nell'amigdala. La ricerca di LeDoux e di altri neuroscienziati sembra ora indicare che l'ippocampo - per lungo tempo considerato la struttura chiave del sistema limbico - È coinvolto nella registrazione e nella comprensione degli schemi percettivi piÙ che non nelle reazioni emotive. La principale funzione dell'ippocampo sta nel fornire un ricordo particolareggiato del contesto, vitale per il significato emozionale; È l'ippocampo che riconosce il diverso significato, tanto per fare un esempio, di un orso visto allo zoo o nel cortile di casa.

Mentre l'ippocampo ricorda i fatti nudi e crudi, l'amigdala ne trattiene, per cosÃŒ dire, il sapore emozionale. Se cercate di sorpassare una macchina su una strada a doppio senso di marcia ed evitate per poco una collisione frontale, l'ippocampo ricorderÀ le specifiche dell'incidente, ad esempio su quale tratto di strada vi trovavate, chi era con voi e l'aspetto dell'altra auto. Ma sarÀ l'amigdala che da quel momento in poi vi farÀ sentire ansiosi ogni volta che cercherete di sorpassare in circostanze simili. Come mi spiegÃ’ LeDoux: “L'ippocampo È fondamentale per riconoscere in un volto quello di tua cugina. Ma È l'amigdala ad aggiungere che ti È proprio antipatica”.

Il cervello usa un metodo semplice ma ingegnoso per fare in modo che i sistemi mnemonici emozionali siano particolarmente potenti: i sistemi neurochimici di allarme che inducono l'organismo a reagire (combattendo o fuggendo) alle emergenze che minacciano la sopravvivenza sono esattamente gli stessi che imprimono il momento nella memoria con grande incisivitÀ (8). Sotto stress (oppure in condizioni di ansia, o presumibilmente anche di intensa eccitazione o di gioia) un nervo che va dal cervello alle ghiandole surrenali innesca la secrezione di ormoni quali l'adrenalina e la noradrenalina, che si diffondono in tutto il corpo preparandolo all'emergenza. Questi ormoni attivano recettori localizzati sul nervo vago, che oltre a portare messaggi inviati dal cervello per regolare la funzione cardiaca, trasporta anche segnali nella direzione opposta, mediati, appunto, dall'adrenalina e dalla noradrenalina. L'amigdala È il principale sito cerebrale verso il quale questi segnali sono diretti; essi attivano i suoi neuroni, in modo che quelli, a loro volta, segnalino ad altre regioni del cervello di rafforzare la memoria di ciÒ che sta accadendo.

L'attivazione dell'amigdala sembra imprimere piÙ fortemente nella memoria la maggior parte dei momenti caratterizzati dal risveglio emozionale: ecco perché È piÙ probabile ricordare, ad esempio, il luogo del nostro primo appuntamento o ciÃ’ che stavamo facendo quando sentimmo al telegiornale che il 'Challenger' era esploso. Quanto piÙ intenso È il risveglio dell'amigdala, tanto piÙ forte È l'impressione del ricordo; le esperienze della vita che piÙ ci feriscono o ci spaventano sono destinate a diventare i nostri ricordi piÙ indelebili. CiÃ’ significa che il cervello ha effettivamente due sistemi mnemonici, uno per i fatti ordinari e l'altro per quelli che hanno una valenza emozionale. Naturalmente, l'esistenza di un sistema speciale per i ricordi emozionali È un fatto assolutamente logico nell'evoluzione: essa infatti garantisce agli animali la conservazione di un ricordo particolarmente vivido di ciÃ’ che li ha minacciati o che ha dato loro piacere. Nel presente, perÃ’, i ricordi emozionali possono rivelarsi guide fuorvianti.

- Meccanismi di allarme neurale ormai obsoleti.

Uno svantaggio di questi allarmi neurali È costituito dal fatto che il messaggio urgente inviato dall'amigdala È a volte, per non dire spesso, obsoleto, soprattutto in un universo sociale in perenne movimento come quello dell'uomo. In quanto archivio della memoria emozionale, l'amigdala analizza l'esperienza corrente, confrontando ciÃ’ che sta accadendo nel presente con quanto giÀ accaduto in passato. Il suo metodo di confronto È associativo: quando la situazione presente e quella passata hanno un elemento chiave simile, l'amigdala lo identifica come un'“associazione”. Ecco perché questo circuito È, per cosÃŒ dire, sciatto: agisce prima di avere una piena conferma. Ci comanda precipitosamente di reagire a una situazione presente secondo modalitÀ fissate moltissimo tempo fa, con pensieri, emozioni e reazioni apprese in risposta ad eventi forse solo vagamente analoghi - e tuttavia abbastanza simili da mettere in allarme l'amigdala.

Ad esempio, un'ex infermiera dell'esercito, traumatizzata dall'inesorabile sequenza di ferite orrende che aveva curato in tempo di guerra, venne improvvisamente travolta da un misto di terrore, ripugnanza e panico, a distanza di anni, scatenati dal fetore uscito da un armadio nel quale il suo bambino aveva nascosto un pannolino sporco - una sorta di replica della reazione suscitata in lei dagli orrori del campo di battaglia. Perché l'amigdala dichiari lo stato di emergenza basta che solo pochissimi elementi della situazione presente ricordino quelli di una passata circostanza pericolosa. Il guaio È che oltre ai ricordi, carichi di valenze emozionali, che hanno il potere di scatenare questa risposta di crisi, possono essere altrettanto superate anche le modalitÀ di reazione. In tali momenti, l'imprecisione del cervello È aumentata anche dal fatto che molti vividi ricordi emozionali risalgono ai primi anni di vita e riguardano il rapporto fra il bambino e chi si prendeva cura di lui. Questo È vero soprattutto per gli eventi traumatici, ad esempio nel caso in cui il piccolo venisse percosso o apertamente trascurato. In questo primo periodo della vita, altre strutture cerebrali - in particolare l'ippocampo, che È fondamentale per la memoria narrativa, e la neocorteccia, sede del pensiero razionale - devono ancora svilupparsi completamente. Nel sistema mnemonico, l'amigdala e l'ippocampo lavorano in stretta collaborazione; ciascuno di essi archivia e richiama le proprie informazioni indipendentemente. Mentre l'ippocampo richiama dunque le proprie, l'amigdala decide se esse hanno o meno una valenza emozionale. L'amigdala, tuttavia, matura molto velocemente nel cervello del bambino, e alla nascita È molto piÙ vicina di altre strutture allo sviluppo completo.

LeDoux fa ricorso al ruolo dell'amigdala nell'infanzia per confermare quello che È un principio fondamentale del pensiero psicoanalitico, e cioÈ il fatto che le interazioni sperimentate nei primissimi anni di vita impartirebbero una serie di insegnamenti emozionali basati sull'armonia e i contrasti fra il bambino e chi si prende cura di lui (9). LeDoux ritiene che queste lezioni siano tanto potenti, e al tempo stesso cosÃŒ difficili da comprendere dalla prospettiva dell'adulto, perché sono state archiviate nell'amigdala come programmi della vita emotiva ancora grossolani e senza parole. Poiché questi primissimi ricordi emozionali si fissano nella memoria in un momento in cui i bambini non hanno ancora parole per descrivere le loro esperienze, quando poi, in tempi successivi, essi vengono richiamati, non È possibile associare alcun insieme di pensieri articolati alla risposta che prende il sopravvento. Uno dei motivi, quindi, che spiegano come mai siamo cosÃŒ sconcertati dalle nostre esplosioni emozionali, È che esse spesso hanno radici in un periodo molto precoce della nostra vita, quando le cose ci sbalordivano ma non avevamo ancora le parole per descriverle. I ricordi che scatenano tali esplosioni possono dunque suscitare sentimenti caotici, ma non possono evocare parole.

- Risposte emotive rapide e approssimative.

Erano circa le tre del mattino quando qualcosa di enorme precipitÃ’ fragorosamente in un angolo della mia camera da letto sfondando il soffitto e seminando nella stanza gli oggetti riposti nel sottotetto. In un secondo saltai giÙ dal letto e corsi fuori dalla stanza, terrorizzato al pensiero che tutto il soffitto potesse crollare. Poi, rendendomi conto che ero in salvo, con prudenza tornai nella stanza per vedere che cosa avesse causato tutto quel danno; scoprii allora che il suono che avevo interpretato come il crollo del soffitto era stato causato in realtÀ dalla caduta di una pila di scatole che mia moglie aveva eretto in quell'angolo il giorno prima, mettendo in ordine nel suo armadio. Non era caduto proprio niente dal sottotetto - anche perché non c'era nessun sottotetto. Il soffitto era intatto, e altrettanto poteva dirsi di me.

Il mio salto fuori dal letto mentre ero ancora mezzo addormentato - un gesto che avrebbe potuto salvarmi se il soffitto fosse davvero franato nella stanza - ci dÀ una dimostrazione della capacitÀ dell'amigdala di spingerci all'azione in situazioni d'emergenza, proprio pochi attimi prima - attimi vitali! - che la neocorteccia abbia il tempo di registrare in modo completo quel che sta davvero accadendo. La sottile via d'emergenza che dall'orecchio o dall'occhio va al talamo e poi all'amigdala È di fondamentale importanza in questi casi: risparmia tempo in situazioni di emergenza, proprio quando piÙ È necessaria una risposta istantanea. D'altra parte, questo circuito che dal talamo va all'amigdala porta solo una piccola parte dei messaggi sensoriali, mentre la maggior parte di essi prende la via principale diretta alla neocorteccia. Pertanto, ciÃ’ che viene registrato nell'amigdala attraverso questa via ultrarapida È, nei casi migliori, un segnale solo approssimativo, appena sufficiente per lanciare un avvertimento Come dice LeDoux: “Non c'È bisogno di conoscere esattamente di che cosa si tratti per sapere che puÃ’ essere pericoloso” (10).

La via diretta presenta un grande vantaggio in termini di tempo - che nel cervello si misura nell'ordine dei millisecondi. Nel ratto, l'amigdala puÃ’ cominciare a rispondere a uno stimolo percettivo in soli dodici millisecondi - ossia in dodici millesimi di secondo. La via che dal talamo va alla neocorteccia e poi all'amigdala impiega invece circa il doppio di questo tempo. Misurazioni analoghe devono ancora essere compiute nel cervello umano, ma probabilmente anche nella nostra specie valgono all'incirca gli stessi rapporti.

In termini evolutivi, il valore per la sopravvivenza di questa via diretta dev'essere stato considerevole, consentendo una risposta rapida che abbreviava di alcuni millisecondi critici il tempo di reazione ai pericoli. Quei millisecondi possono aver salvato la vita dei nostri antenati protomammaliani in cosÃŒ tanti casi che adesso questo meccanismo si trova impresso nel cervello di tutti i mammiferi, compreso il vostro e il mio. In veritÀ, sebbene questo circuito abbia probabilmente un ruolo relativamente limitato nella vita mentale umana, essendo in larga misura confinato alle crisi emotive, gran parte della vita mentale degli uccelli, dei pesci e dei rettili ruota intorno ad esso, in quanto la loro sopravvivenza dipende dall'analisi costante dell'ambiente per la localizzazione di predatori o prede potenziali. “Questo sistema, che nei mammiferi È primitivo e di minore importanza, costituisce il principale sistema cerebrale nei non mammiferi” spiega LeDoux. “Esso offre una via molto rapida per scatenare le emozioni. Si tratta perÃ’ di un processo veloce ma poco preciso.”

In uno scoiattolo, tanto per fare un esempio, questa imprecisione non disturba; essa porta infatti l'animale a peccare di eccessiva prudenza, facendolo fuggire al primo possibile segno di un nemico in agguato, o inducendolo a dirigersi verso gli oggetti commestibili. Ma nella vita emotiva umana, quell'imprecisione puÃ’ avere conseguenze disastrose in quanto, metaforicamente parlando, puÃ’ portarci a fuggire o ad andare incontro alla cosa - o alla persona - sbagliata. (Pensate a quella cameriera che lasciÃ’ cadere un vassoio con sei coperti avendo visto una cliente con un'enorme criniera di capelli rossi ricci - proprio come quella donna per la quale il suo ex marito l'aveva lasciata!)

Queste confusioni emozionali sono basate sul sentimento prima che sul pensiero. LeDoux chiama “emozione precognitiva” una reazione fondata su frammenti di informazione sensoriale non completamente classificati e integrati in un oggetto riconoscibile. Si tratta di una forma di informazione sensoriale molto grezza, qualcosa di simile a un'assonanza neurale dove, invece di riconoscere una melodia istantaneamente in base a pochissime note, un'intera percezione viene afferrata sulla base di una ricostruzione provvisoria. Se l'amigdala percepisce la comparsa di uno schema sensoriale importante salta, per cosÃŒ dire, immediatamente alle conclusioni, scatenando le sue reazioni prima di aver avuto prove convincenti - o anche solo una conferma.

Non deve dunque meravigliarci se riusciamo a comprendere tanto poco nelle tenebre delle nostre emozioni piÙ violente, soprattutto quando esse ci tengono ancora in scacco. L'amigdala puÃ’ reagire con un delirio di collera o di paura prima che la corteccia sappia che cosa sta accadendo, e questo perché l'emozione grezza viene scatenata in modo indipendente dal pensiero razionale, e prima di esso.

- Il centro che controlla le emozioni.

Jessica, una bambina di sei anni, si accingeva per la prima volta a passare la notte fuori casa, da una compagna di giochi, e non era ben chiaro se la cosa rendesse piÙ agitata lei o sua madre. Sebbene quest'ultima cercasse di non lasciar capire a Jessica la propria ansia, la sua tensione raggiunse l'apice verso la mezzanotte, quando si stava preparando per andare a letto e sentÃŒ squillare il telefono. Lasciato cadere lo spazzolino da denti la donna si precipitÃ’ all'apparecchio col cuore in gola mentre nella mente le balenavano immagini di Jessica in preda a una terribile angoscia. La donna afferrÃ’ il ricevitore e gridÃ’ impulsivamente nel microfono “Jessica!”, ma si sentÃŒ rispondere da una voce femminile: “Oh, mi scusi, temo di aver sbagliato numero”.

A quel punto la madre di Jessica recuperÃ’ il proprio sangue freddo e chiese con un tono educato e misurato: “Che numero desiderava?”.

Mentre l'amigdala lavora per scatenare una reazione ansiosa e impulsiva, altre aree del cervello emozionale si adoperano per produrre una risposta correttiva, piÙ consona alla situazione. L'interruttore cerebrale che smorza gli impulsi dell'amigdala sembra trovarsi all'altro estremo di un importante circuito diretto alla neocorteccia - precisamente ai lobi prefrontali. La corteccia prefrontale sembra attiva quando l'individuo È spaventato o adirato, ma soffoca o comunque controlla il sentimento in modo da gestire piÙ efficacemente la situazione (anche quando una rivalutazione degli eventi richieda una risposta completamente diversa, come abbiamo appena visto nel caso della madre preoccupata al telefono). Quest'area cerebrale neocorticale consente di dare ai nostri impulsi emotivi una risposta piÙ analitica o appropriata, modulando l'amigdala e le altre aree limbiche.

Di solito le aree prefrontali regolano le nostre reazioni emotive fin dal principio. Ricorderete che la maggiore proiezione delle informazioni sensoriali provenienti dal talamo non È diretta all'amigdala ma alla neocorteccia e ai suoi molti centri deputati alla ricezione e alla comprensione di quanto viene percepito; quell'informazione, e la nostra risposta ad essa, sono coordinate dai lobi prefrontali, dove le azioni vengono programmate e organizzate in vista di un obiettivo, ivi compresi quelli emozionali. Nella neocorteccia una serie di circuiti a cascata registra e analizza quell'informazione, la comprende e attraverso i lobi prefrontali organizza una reazione coordinata. Se È necessaria una risposta emozionale, i lobi prefrontali la dettano lavorando in stretta collaborazione con l'amigdala e gli altri circuiti.

Questa sequenza, che consente un certo discernimento nella risposta emozionale, rappresenta una situazione normale, che conosce significative eccezioni nel caso delle emergenze. Quando si scatena un'emozione, nel giro di qualche istante i lobi prefrontali eseguono la reazione che ritengono migliore fra una miriade di possibilitÀ, in base al criterio del rapporto rischio/beneficio (11). Per gli animali, ciÒ significa decidere quando attaccare e quando darsi alla fuga. E per noi esseri umani quando attaccare, quando darsi alla fuga - e anche quando calmarsi, persuadere, cercare comprensione, tergiversare, provocare sensi di colpa, piagnucolare, indossare una maschera di spavalderia, essere sprezzanti - e cosÌ via, attraverso l'intero repertorio degli artifici emozionali.

La risposta neocorticale È piÙ lenta - sempre in termini di tempi cerebrali - rispetto al meccanismo del “sequestro neurale”, perché comporta il passaggio del segnale attraverso un maggior numero di circuiti. Inoltre, essa È probabilmente piÙ giudiziosa e ponderata in quanto, nel suo caso, i sentimenti sono preceduti da una maggiore riflessione. La neocorteccia È al lavoro tutte le volte che registriamo una perdita e ci rattristiamo, o ci sentiamo felici dopo un trionfo, o ci maceriamo rimuginando su qualcosa che qualcuno ha detto o fatto, facendoci sentire feriti o in collera.

Come nel caso della resezione dell'amigdala, in assenza dell'elaborazione dei lobi prefrontali, gran parte della vita emotiva vien meno; se non ci si rende conto di essere in presenza di qualcosa che merita una risposta emozionale, non ci sarÀ risposta alcuna. I neurologi hanno sospettato che i lobi prefrontali avessero questo ruolo nelle emozioni fin dall'avvento, negli anni Quaranta, della lobotomia prefrontale, una “cura” chirurgica disperata e tragicamente impiegata per le malattie mentali: questa operazione rimuoveva, spesso molto grossolanamente, parte dei lobi prefrontali o comunque interrompeva le connessioni fra corteccia prefrontale e centri inferiori del cervello. In tempi nei quali ancora non si disponeva di alcuna cura efficace per le malattie mentali, la lobotomia venne accolta come una soluzione per i casi di grave sofferenza psicologica: bastava resecare i collegamenti fra i lobi prefrontali e il resto del cervello e il malessere del paziente veniva “alleviato”: purtroppo, il prezzo di tutto ciÃ’ era il soffocamento di gran parte della sua vita emotiva, in quanto i fondamentali circuiti deputati alla sua regolazione andavano cosÃŒ distrutti.

I “sequestri” neurali comportano presumibilmente due dinamiche: da un lato, lo scatenamento dell'amigdala e dall'altro la mancata attivazione dei processi neocorticali che solitamente mantengono l'equilibrio delle risposte emozionali (oppure la mobilitazione della neocorteccia nell'emergenza) (12). In questi momenti la mente razionale viene sopraffatta da quella emozionale. Fra i modi con i quali la corteccia prefrontale riesce a dominare efficacemente le emozioni soppesando le reazioni prima di passare all'azione - c'È quello di smorzare i segnali di attivazione inviati dall'amigdala e da altri centri limbici - un meccanismo che possiamo paragonare a un genitore che fermi il proprio bambino impulsivo impedendogli di afferrare ciÃ’ che vuole e insegnandogli a chiederlo educatamente (o ad aspettare) (13).

Sembra che l'interruttore neurale fondamentale che “spegne” le emozioni negative sia il lobo prefrontale sinistro. I neuropsicologi che studiano gli stati d'animo dei pazienti con lesioni frontali hanno determinato che una delle funzioni del lobo frontale sinistro È quella di regolare le emozioni spiacevoli come una sorta di termostato neurale. Il lobo prefrontale destro È sede di sentimenti negativi come la paura e l'aggressivitÀ, mentre quello sinistro tiene sotto controllo tali emozioni grossolane, probabilmente inibendo il lobo destro (14). In un gruppo di pazienti reduci da un ictus, ad esempio, i soggetti la cui lesione era localizzata nella corteccia prefrontale sinistra andavano incontro a catastrofici attacchi di angoscia e di terrore; quelli con lesioni alla parte destra erano invece “indebitamente allegri”; era chiaro che costoro non si curavano dell'esito degli esami neurologici cui venivano sottoposti, durante i quali erano completamente rilassati e continuavano a raccontare barzellette (15). E poi ci fu il caso del “marito felice”, un uomo che aveva subito la parziale rimozione chirurgica del lobo prefrontale destro per correggere una malformazione al cervello. La moglie di quest'uomo disse al suo medico che dopo l'operazione il marito era andato incontro a un impressionante cambiamento di personalitÀ, diventando meno irascibile e, con grande soddisfazione della donna, piÙ affettuoso (16).

Il lobo prefrontale sinistro, in breve, sembra far parte di un circuito neurale in grado di disattivare - o quanto meno di smorzare - tutti gli impulsi emotivi negativi con la sola eccezione dei piÙ violenti. Mentre l'amigdala spesso funziona come un sistema di emergenza, il lobo prefrontale sinistro sembra far parte del meccanismo cerebrale per “spegnere” le emozioni che disturbano - l'amigdala propone, il lobo prefrontale dispone. Nella vita mentale, queste connessioni fra corteccia prefrontale e sistema limbico hanno un'importanza fondamentale che va ben oltre la regolazione fine delle emozioni; esse sono essenziali per guidarci nelle piÙ importanti decisioni della vita.

- Armonizzare emozione e pensiero.

Le connessioni fra l'amigdala (e le strutture limbiche affini) e la neocorteccia sono al centro di quelle che possiamo definire come le battaglie o gli accordi di cooperazione fra mente e cuore - fra pensiero e sentimento. Questi circuiti spiegano come mai l'emozione È tanto importante ai fini del pensiero, sia quando si debbano prendere sagge decisioni, sia quando si tratti di pensare lucidamente.

Prendiamo, a titolo di esempio, la capacitÀ delle emozioni di rendere disorganizzato il pensiero. I neuroscienziati usano l'espressione “memoria di lavoro” per indicare la capacitÀ di attenzione che fissa nella mente i dati essenziali per completare un certo compito o per risolvere un particolare problema; tali dati possono essere di natura molto varia: puÃ’ trattarsi dei requisiti ideali che cerchiamo in una casa da acquistare quando vagliamo diverse possibilitÀ, oppure degli elementi di un problema razionale durante un esame. La corteccia prefrontale È la regione del cervello in cui ha sede la memoria di lavoro (17). Ma i circuiti che connettono il sistema limbico ai lobi prefrontali comportano la possibilitÀ che i segnali di forti emozioni - ansia, collera e simili - creino dei rumori di fondo, per cosÃŒ dire un'elettricitÀ statica neurale, sabotando cosÃŒ la capacitÀ del lobo prefrontale di conservare la memoria di lavoro. Ecco perché quando siamo sconvolti diciamo che “non riusciamo a pensare”; ecco perché una continua sofferenza psicologica puÃ’ causare delle carenze nelle capacitÀ intellettuali dei bambini, compromettendone l'apprendimento.

Quando questi deficit sono meno pronunciati non vengono sempre evidenziati dai test per la misura del Q.I., sebbene essi siano rivelati da misure neuropsicologiche piÙ mirate e affiorino anche nel caso in cui il bambino mostri un comportamento costantemente agitato e impulsivo. In uno studio condotto su bambini della scuola elementare, ad esempio, questi test neuropsicologici dimostrarono che i soggetti con Q.I. al di sopra della media, ma le cui prestazioni scolastiche erano insoddisfacenti, presentavano una compromissione del funzionamento della corteccia frontale (18). Questi bambini erano anche impulsivi e ansiosi, spesso confusi e agitati - una serie di riscontri che indicavano un controllo difettoso dei lobi prefrontali sugli impulsi del sistema limbico. Nonostante le loro potenzialitÀ intellettuali, questi bambini erano soggetti ad altissimo rischio di fallimento scolastico, alcolismo e criminalitÀ (non perché fossero carenti sul piano intellettuale, ma per le loro scarse capacitÀ di controllo sulla vita emotiva). Il cervello emozionale, del tutto separato dalle aree corticali la cui funzione viene vagliata dal test Q.I., controlla la collera e la compassione. Questi circuiti vengono scolpiti dall'esperienza durante l'infanzia - e noi, a nostro rischio, permettiamo che quelle esperienze siano completamente affidate al caso.

Consideriamo ora il ruolo delle emozioni quando dobbiamo prendere una decisione, anche la piÙ “razionale”. Antonio Damasio, neurologo al College of Medicine della Iowa University, ha compiuto ricerche ricche di importanti implicazioni per la nostra comprensione della vita mentale; in particolare, egli desiderava scoprire quali funzioni fossero compromesse nei pazienti con lesioni del circuito che collega i lobi prefrontali all'amigdala (19). La capacitÀ di questi soggetti di prendere decisioni È spaventosamente compromessa - e tuttavia essi non presentano alcun deterioramento del loro Q.I. o di qualunque abilitÀ cognitiva. Nonostante la loro intelligenza sia intatta, essi compiono scelte disastrose negli affari e nella vita privata, e possono anche tormentarsi all'infinito per prendere decisioni semplici come quella di fissare un appuntamento.

Damasio sostiene che le scelte di questi pazienti sono tanto sbagliate perché essi hanno perso la possibilitÀ di accedere alla propria memoria emozionale. Essendo il punto di incontro fra pensiero razionale ed emozione, il circuito che collega lobi prefrontali e amigdala È una via di accesso fondamentale all'archivio contenente tutte quelle preferenze e quelle avversioni che andiamo accumulando nel corso della nostra vita. Se si esclude la memoria emozionale custodita nell'amigdala, qualunque cosa venga elaborata dalla neocorteccia non È piÙ in grado di innescare le reazioni emotive in passato associate allo stesso evento, e tutto assume i toni di una grigia neutralitÀ. Uno stimolo esterno, indipendentemente che si tratti del loro amato cagnolino o di una maledetta seccatura, non suscita piÙ in questi pazienti attrazione o avversione: essi hanno “dimenticato” tutti gli insegnamenti emozionali precedentemente appresi perché non hanno piÙ accesso al luogo dove li avevano archiviati - in altre parole, all'amigdala.

Dati come questi hanno portato Damasio su una posizione opposta a quanto suggerirebbe l'intuito; lo hanno indotto cioÈ a ritenere che i sentimenti siano solitamente indispensabili nei processi decisori della mente razionale; essi ci orientano nella giusta direzione, dove poi la pura logica si dimostrerÀ utilissima. Spesso la realtÀ ci mette di fronte a una gamma di scelte molto difficili (come investire la liquidazione?, chi sposare?); in questi casi, gli insegnamenti emozionali impartitici dalla vita (ad esempio il ricordo di un investimento rivelatosi disastroso o di una dolorosa rottura sentimentale) inviano segnali che restringono il campo della decisione, eliminando alcune opzioni e mettendone in evidenza altre fin dall'inizio. In questo modo, secondo Damasio, il cervello emozionale È coinvolto nel ragionamento proprio come il cervello pensante.

Le emozioni, allora, hanno un ruolo importante ai fini della razionalitÀ. Nel complesso rapporto fra sentimenti e pensiero, la facoltÀ emozionale guida le nostre decisioni momento per momento, in stretta collaborazione con la mente razionale, consentendo il pensiero logico o rendendolo impossibile. Allo stesso modo, il cervello razionale ha un ruolo dominante nelle nostre emozioni - con la sola eccezione di quei momenti in cui le emozioni eludono il controllo e prendono, per cosÌ dire, il sopravvento di prepotenza.

In un certo senso, abbiamo due cervelli, due menti - e due diversi tipi di intelligenza: quella razionale e quella emotiva. Il nostro modo di comportarci nella vita È determinato da entrambe: non dipende solo dal Q.I., ma anche dall'intelligenza emotiva, in assenza della quale, l'intelletto non puÒ funzionare al meglio. La complementarietÀ del sistema limbico e della neocorteccia, dell'amigdala e dei lobi prefrontali, significa che ciascuno di essi È solitamente una componente essenziale a pieno diritto della vita mentale. Quando questi partner interagiscono bene, l'intelligenza emotiva si sviluppa, e altrettanto fanno le capacitÀ intellettuali.

Quanto abbiamo detto capovolge le antiche opinioni sulla tensione fra ragione e sentimento: noi non vogliamo fare a meno dell'emozione e mettere al suo posto la ragione, come avrebbe desiderato Erasmo; vorremmo invece trovare il giusto equilibrio fra le due componenti. Il vecchio paradigma sosteneva un ideale in cui la ragione poteva liberarsi dalla spinta delle emozioni. Il nuovo modello ci spinge piuttosto a trovare un'armonia fra mente e cuore. Per farlo, perÒ, dobbiamo per prima cosa comprendere piÙ esattamente che cosa significhi fare un uso intelligente dell'emozione.



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