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Il Sistema Solare: struttura

fisica



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Il Sistema Solare: struttura

Il modo classico per studiare il sistema planetario è quello di esaminarne una ad una le componenti, e, solo successivamente cercare i legami tra di esse, vuoi in termini genetici che evolutivi. Un approccio meno convenzionale prevede di studiare la struttura del sistema nel suo insieme identificando quali siano i processi che possano aver portato alla formazione dei singoli oggetti. Seguiremo in queste lezioni questa strada, cercando di identificare fin dall’inizio quali siano le caratteristiche “in grande” del sistema planetario che lo rendono da un lato unico, e, dall’altro normale, nel senso che esso deve essere un sottoprodotto del processo di formazione della stella Sole, che è una stella assolutamente comune.



Il sistema solare si compone di 9 pianeti, svariati satelliti, migliaia di corpi di dimensioni inferiori a 100 K di diametro, innumerevoli particelle di polvere. Tutto ciò è immerso nel campo di radiazione ed in quello gravitazionale del sole. Il campo di radiazione solare determina le condizioni termodinamiche delle superfici planetarie e delle loro atmosfere, ove esse sono presenti, mentre il campo gravitazionale è la forza legante del sistema stesso oltre a determinarne la struttura dinamica del sistema

I nove pianeti possono essere raggruppati in due sottoinsiemi: i 4 pianeti terrestri, di composizione silicatica, ed i pianeti gioviani, lontani dal Sole e di dimensioni maggiori di quelle della terra. I pianeti gioviani più grandi, Giove e Saturno, sono composti di idrogeno ed elio, mentre quelli più piccoli e più esterni, Urano e Nettuno sono composti prevalentemente di ghiaccio. Al di la di Nettuno è presente un piccolo ed erratico pianeta, Plutone, la cui orbita periodicamente interseca quella di Nettuno, lasciando a quest’ultimo la palma più lontano. I pianeti rocciosi hanno dimensioni relativamente modeste (meno di 15.000 Km di diametro) e densità abbastanza alte (da 3 a 5, dove 1 e' la densità dell'acqua). Essi sono composti di un nucleo ferroso circondato da un mantello basaltico. Rispetto ai pianeti giganti, il loro moto di rivoluzione e' più veloce e la loro rotazione e' più lenta. i pianeti rocciosi sono piuttosto diversi tra loro per quanto riguarda l'atmosfera (quando presente), la superficie del suolo, il campo magnetico e i parametri orbitali, in contrasto con la relativa uniformità dei pianeti giganti. pianeti giganti devono il loro nome alle notevoli dimensioni (hanno diametri maggiori di 50.000 Km). Essi hanno densità prossime ad 1 e si dividono a loro volta in pianeti gassosi (Giove e Saturno) e pianeti di ghiaccio (Urano e Nettuno). I pianeti gassosi sono composti da un nucleo roccioso circondato da un mantello liquido, a sua volta ricoperto da uno spesso strato di gas. I pianeti di ghiaccio sono composti invece da un nucleo di roccia, ricoperto da uno strato do ghiaccio, il tutto circondato da un'atmosfera. I periodi di rivoluzione dei pianeti giganti sono molto più lunghi rispetto a quelli dei pianeti tellurici, e vano da circa 12 anni (Giove) a quasi 165 (Nettuno). Viceversa essi ruotano più rapidamente dei pianeti rocciosi: ne deriva una notevole forza centrifuga all'equatore, e quindi una forma più schiacciata. Giove, Saturno e Urano possiedono inoltre un insieme di anelli composti da polvere e frammenti di roccia e ghiaccio di varie dimensioni. Infine, tutti i pianeti giganti possiedono un gran numero di satelliti, mentre quelli rocciosi ne hanno al massimo due. Giove e Saturno hanno la particolarità di emettere 2 volte e mezzo più energia di quanta non ne ricevano dal Sole. Questa energia deriva loro da una lenta contrazione gravitazionale, che riscalda il loro nucleo. Inoltre nella loro atmosfera il rapporto idrogeno-elio e' molto simile a quello solare; questo fa pensare che i due pianeti siano in realtà due 'stelle mancate': se fossero più massicci, la pressione e la temperatura del gas al loro interno sarebbero sufficienti ad innescare le reazioni termonucleari e a farli diventare stelle. Tuttavia va sottolineato che sia Giove che Saturno hanno una composizione chimica diversa da quella di una stella, cioè hanno una quantità di idrogeno inferiore a quella “canonica” che caratterizza il mezzo interstellare.-

Plutone e' il meno conosciuto di tutti i pianeti. Esso sembra un caso a parte rispetto agli altri, sia per la sua orbita anomala, sia per tipo e dimensioni. Esso infatti, pur essendo situato nella regione dei pianeti giganti, e' molto piccolo e di tipo roccioso. Si pensa che Plutone possa essere un ex satellite di Nettuno, sfuggito alla sua attrazione gravitazionale per sistemarsi su un'orbita indipendente attorno al Sole.

Dal punto di vista dinamico, il Sistema Solare e' un insieme molto complesso e particolare. Tutti i pianeti ruotano nello stesso verso, cioè in senso antiorario rispetto ad un ipotetico osservatore posto sul polo nord del Sole. Le loro orbite giacciono quasi tutte sullo stesso piano, cioè sono inclinate al massimo di 2,5 gradi rispetto al piano dell'eclittica, ad eccezione di quelle di Mercurio (7 gradi) e di Plutone (17 gradi). Le orbite sono pressoché circolari, tranne quelle di Plutone (che ha un'eccentricità pari a 0.25) e di Mercurio (0.20). L'estensione totale del Sistema Solare e' di circa 6 miliardi di Km, pari a 39,3 U.A. . I corpi del Sistema Solare occupano in realtà un volume molto piccolo rispetto alle dimensioni complessive. Il Sistema Solare e' quindi praticamente 'vuoto':

Figura 1Le orbite dei pianeti interni (Calvin J. Hamilton)

Le orbite dei pianeti esterni (ibidem)

La visione descritta precedentemente è in qualche modo fuorviante, infatti dà un ruolo paritetico a tutti gli oggetti del sistema planetario. In effetti la gran parte di massa del nostro sistema risiede nel Sole. Se noi osservassimo il sistema planetario dall’esterno vedremmo essenzialmente il Sole, e Giove. Giove ammonta a circa un millesimo di massa solare ed a 300 masse terrestri. Il Sole è una comune stella G2, una delle più di 100 miliardi di stelle della nostra galassia.

Il Sole

diametro:

1.390.000 km.

massa:

1,989e30 kg

temperatura

5.800 K (superficie)

temperatura:

15.600.000 K (nucleo)

Tabella 1: Caratteristiche del sole

Il Sole è di gran lunga l'oggetto più grande nel sistema solare. Esso contiene infatti più del 99.8% della massa totale del sistema solare (e Giove contiene la maggior parte di quella restante).

   Attualmente il Sole è costituito per circa il 75% da idrogeno e per il 25% da elio, se si considera la massa (92,1% di idrogeno e 7,8 di elio se si considera il numero di atomi); tutto il resto ('metalli') ammonta a solo 0,1%. Le percentuali cambiano, sia pure lentamente, con il passare del tempo, poiché il Sole nel suo nucleo converte l'idrogeno in elio. Gli strati esterni del Sole mostrano una rotazione differenziata: all'equatore la superficie ruota con un periodo di 25,4 giorni, mentre vicino ai poli è pari a 36 giorni. Tale fenomeno è dovuto al fatto che il Sole non è un corpo solido come la Terra. Effetti analoghi vengono osservati nei pianeti gassosi, come ad esempio in Giove. La rotazione differenziata si estende notevolmente in profondità all'interno del Sole, ma il nucleo solare ruota come un corpo solido. Le condizioni nel nucleo del Sole sono davvero estreme. La temperatura raggiunge i 15,6 milioni di gradi Kelvin e la pressione è di 250 miliardi di atmosfere. I gas del nucleo hanno una densità 150 volte maggiore di quella dell'acqua.

La produzione di energia del Sole (3.86e33 erg/secondo o 386 miliardi di miliardi di megawatt) è determinata dalle reazioni di fusione nucleare. Ogni secondo, circa 700.000.000 di tonnellate di idrogeno vengono convertite in circa 695.000.000 di tonnellate di elio e 5.000.000 di tonnellate (=3.86e33 erg) di energia sotto forma raggi gamma. Viaggiando verso l'esterno, l'energia è continuamente assorbita e riemessa a temperature sempre più basse, cosicché quando raggiunge la superficie appare soprattutto come luce visibile. Per l'ultimo 20% del percorso verso la superficie l'energia viene portata più dalla convezione che dalla radiazione. La fotosfera solare ha una temperatura di circa 5.800 K. Le macchie solari sono regioni 'fredde', solo 3.800 K (esse appaiono scure solo in confronto alle regioni circostanti). Le macchie possono essere molto ampie, fino a 50.000 km di diametro. Esse sono causate da complicate interazioni, non ancora molto ben comprese, con il campo magnetico solare. Una piccola regione detta cromosfera si stende al di sopra della fotosfera. Per finire, la corona una zona estremamente rarefatta sopra la cromosfera, si estende per milioni di chilometri nello spazio ma è visibile solamente durante le eclissi. Le temperature della corona superano il milione di gradi Kelvin. Il campo magnetico del Sole è molto forte (in base ai parametri terrestri) e assai complesso. La sua magnetosfera (conosciuta anche come eliosfera) si estende ben al di là di Plutone. Recentemente le sonde Voyager 1 e 2 stanno esplorando queste regioni esterne del sistema planetario, che si trovano assai più lontane delle zone in cui sono stati osservati oggetti solidi.

In prima approssimazione il sole può essere considerato come un gas perfetto in equilibrio idrostatico. La temperatura interna del sole è il risultato di un delicato equilibrio tra le reazioni di fusione nucleare che si svolgono nel suo interno. Questo bilancio regola la combustione nucleare nel Sole, che, partendo dal centro, lentamente trasforma l’idrogeno in elio, e, successivamente in nuclei più pesanti. Il processo base di fusione all’interno del sole è il cosiddetto ciclo pp : La seguente equazione mostra schematicamente il ciclo pp.

  (1)

  (2)

La formazione di elio, implica anche la generazione di neutrini, che sfuggono dal sole in poco più di 2 secondi, mentre un fotone impiega circa due milioni di anni per andare dal centro del sole alla superficie. Il 98.5% della generazione di energia del sole attuale è generata dal ciclo pp, e solo 1.5% è dovuta al ciclo CNO .( Carbon-Nitrogen-Oxygen).

Catena p-p

p + p H + e +

0.420 (spettro)

or

p + e + p H +

1.44 (linea)

H + p He +

He He He + 2p

or

He He Be +

Be + e Li +


0.383 (10%)
( entrambe le linee)

Li + p 2 He

or

Be + p B +

B Be + e +

14.06 (spettro)

Be 2 He

ciclo CNO

C H N +

N C + e +

1.2 (spettro)

C H N +

N H O +

O N + e +

1.7 (spettro)

N H C He

Tabella 1-1 Principali reazioni del ciclo pp CNO nel Sole

Sia il ciclo pp o quello CNO hanno come risultato la produzione di atomi di elio a partire da atomi di idrogeno. Tuttavia, nel corso di tale evoluzione, si formano, in misura minore, altri elementi leggeri, quali Be, 7Li, 8Be, 8B ( nel caso della catena pp) e N, 14N, 15N ( nel caso del ciclo CNO). L’energia generata dalle reazioni termonucleari in forma di raggi gamma si diffonde verso la superficie solare e viene irradiata verso lo spazio esterno. Tuttavia, tale radiazione viene diffusa, assorbita e riemessa: cosicché un fotone gamma, nel suo viaggio verso la superficie solare progressivamente perde energia, trasformandosi dapprima in un fotone x, poi in un fotone ultravioletto, fino a diventare un fotone visibile. E’ per questo che la maggior parte della radiazione solare viene emessa nel visibile. Solo i neutrini, che interagiscono molto debolmente con la materia, raggiungono rapidamente la superficie solare. Un fotone impiega circa un milione di anni a raggiungere la fotosfera, mentre un neutrino sfugge dal Sole in pochi secondi.

Il sole è diviso in sei regioni sulla base delle condizioni fisiche che le caratterizzano: nucleo di fusione - regione della generazione di energia.

  • Nucleo solare: la regione dove avviene la maggior parte della generazione di energia;
  • Regione radiativa: la regione dove il trasporto di energia è radiativo;
  • Regione convettiva - la regione dove il trasporto di energia è determinato dalla presenza di celle convettive;
  • Fotosfera - la superficie di emissione dei fotoni, dalla quale la maggior parte della luce solare è emessa;
  • Cromosfera- l'atmosfera del sole;
  • Corona - la regione di generazione del  vento solare

Regione

raggio

temperatura

Nucleo solare
0.3 raggi solari
15x106 K
Regione radiativa
0.3-0.6 raggi solari
6x106 K
Regione convettiva
0.6-1.0 raggi solari
1x106 K
Fotosfera
100-400 km
6.000 K
Cromosfera
2000 km
30.000 K
Corona
106 km
1x106 K

La radiazione solare è responsabile di molta della fenomenologia attuale nel Sistema Solare, ad esempio essa è responsabile del riscaldamento dei pianeti terrestri e di parte di quello dei pianeti gioviani; della evoluzione delle atmosfere planetarie; dell’impoverimento dei volatili da alcuni dei pianeti terrestri; della evoluzione cometaria e di tutta la complessa fenomenologia che accompagna l’avvicinamento di una cometa al Sole. Il vento solare è responsabile della formazione delle fasce di radiazione attorno ai pianeti dotati di campo magnetico intrinseco; della erosione della atmosfere ove il pianeta sia dotato di una atmosfera e non di un campo magnetico; dello sputtering da parte delle superfici planetarie e della formazione di esosfere nel caso di oggetti solidi, privi di atmosfera e campo magnetico.

L’eliosfera, la regione circumsolare che include l’intero sistema solare, è da considerarsi come emanazione diretta dell’atmosfera solare. È infatti pervasa da un plasma magnetizzato supersonico, il vento solare, generato da processi di riscaldamento ed accelerazione dell’atmosfera del Sole, che in essa interagisce con i corpi del sistema solare e le loro magnetosfere. La massa e l’energia che regolano le condizioni fisiche dell’eliosfera hanno dunque origine nel Sole. In particolare, la corona solare gioca un ruolo chiave nella formazione del vento solare a causa della sua elevata temperatura, dell’ordine del milione di gradi e quindi di due ordini di grandezza maggiore di quella della sottostante fotosfera. Il modello classico di Parker (vedi per un approfondimento Parker, 1997), che predisse l’esistenza del vento solare ed alcune delle sue caratteristiche principali, si basa proprio sull’esistenza di una corona solare calda. Tuttavia, sia le alte temperature coronali che la generazione del vento solare, sia lento che veloce, nonostante debbano essere necessariamente legate a fenomeni di deposizione di energia e momento in corona, rimangono i problemi per eccellenza della fisica solare ed eliosferica.

Le nostre attuali conoscenze del sistema Sole-eliosfera si basano su di un vasto corpo di osservazioni spaziali, ottenuto in un arco di più di quaranta anni. Le missioni spaziali solari e quelle per l’ esplorazione dell’eliosfera, dal Sole fino al confine estremo del sistema solare, hanno di fatto iniziato l’avventura spaziale dell’uomo. Ma nonostante ciò, data la complessità del sistema, solo ora si stanno ponendo le condizioni per affrontare il problema nella sua globalità ed avvicinarsi alla soluzione delle questioni fondamentali.

Formazione Sistema Solare

La formazione del sistema solare è uno degli argomenti più complessi delle scienze planetarie. Infatti, benché le osservazioni forniscano informazioni dirette sullo stato attuale dei corpi che lo compongono, è molto complesso solo da esse risalire al processo che è stato necessario per generarli. Ancor più difficile è stabilire quali siano le relazioni genetiche tra i pianeti e la stella centrale e tra i pianeti e la materia diffusa -ancor presente sia nel sistema solare che al di fuori di esso- e che ha sicuramente avuto un ruolo importante nel processo di formazione. Siamo quindi di fronte ad una sfida, poiché, se ci limitiamo ad osservazioni molto generali, dobbiamo formulare una teoria che sia in grado di spiegare la presenza di una stella centrale della massa di circa 2 x1030 Kg e di un insieme di oggetti che assommano a poco più di un millesimo della massa del corpo centrale. Tali corpi inoltre hanno caratteristiche estremamente eterogenee, che vanno dai grandi pianeti gassosi, come Giove, Saturno ed Urano, ai corpi rocciosi, come la Terra e Marte, a corpi di piccole dimensioni, come le comete e gli asteroidi. La difficoltà di produrre un modello consistente di un sistema così ben noto e complesso consiste quindi nella necessità di identificare i processi fisici chiave che hanno generato tale evoluzione, senza farsi fuorviare dal dettaglio della singola fenomenologia.


Nome
Corpo attorno al quale orbita
Distanza dal Corpo Centrale
( km)
Raggio

(km)
Massa

(kg)
Sole



1, 99e30
Giove
Sole


1, 90e27
Saturno
Sole


5, 69e26
Urano
Sole

25559
8, 69e25 *
Nettuno
Sole

24764
1, 02e26 *
Terra
Sole

6378
5, 98e24
Venere
Sole

6052
4, 87e24
Marte
Sole

3398
6, 42e23
Ganimede
Giove

2631
1, 48e23 +
Titano
Saturno

2575
1, 35e23+
Mercurio
Sole

2439
3, 30e23 +
Callisto
Giove

2400
1, 08e23
Io
Giove


8, 93e22
Luna
Terra

1738
7, 35e22
Europa
Giove

1569
4, 80e22
Tritone
Nettuno

1353
2, 14e22
Plutone
Sole

1160
1, 32e22

Tabella 1-2 Gli oggetti più importanti del Sistema Solare, ordinati in termini di massa. Come si vede alcuni dei satelliti regolari sono di dimensioni maggiori di pianeti come Mercurio e Plutone.

È ovvio che, poiché il sistema è dominato dal Sole, qualsiasi teoria consistente deve partire dalla sua formazione. Inoltre ogni teoria deve tener conto dei vincoli imposti dalle osservazioni. 

Pertanto la teoria deve tener conto dei vincoli di tipo dinamico, relativi cioè al moto dei pianeti e dei corpi minori attorno al Sole ed alla loro distribuzione spaziale; vincoli di tipo fisico, cioè relativi alla distribuzione di massa e densità nel sistema; vincoli di tipo chimico, cioè relativi alla composizione media dei pianeti e dei satelliti; vincoli di tipo isotopico, cioè relativi alla composizione isotopica del materiale dal quale Sole e pianeti si sono generati; vincoli di tipo geologico, relativi cioè alla struttura delle superfici planetarie ed al loro rapporto con la complessa evoluzione che le ha generate.

Per quanto riguarda l’aspetto della dinamica, la prima notazione è che tutti gli oggetti presenti nel sistema planetario, inclusi gli asteroidi, giacciono sul piano della eclittica, si muovono su orbite quasi-circolari prograde e, nella maggior parte, ruotano attorno al loro asse. Anche tale rotazione, salvo che in Venere, Urano e Plutone, è prograda. Inoltre, i pianeti maggiori sono confinati all’interno di una fascia di circa 30 AU. Per quanto riguarda le distanze tra i pianeti contigui, va sottolineato che una delle scoperte della dinamica moderna è che la regione centrata attorno ai punti lagrangiani di Giove, e che è notoriamente priva di oggetti noti, è instabile a causa delle perturbazioni prodotte da Giove stesso. In altri termini, se in tale regione fosse presente un oggetto qualsiasi, esso verrebbe rimosso da quelle zone dalle perturbazioni gioviane, finendo per essere espulso dal sistema o per collidere con un pianeta. Così, si può ragionevolmente affermare che i pianeti sono tanto vicini tra loro quanto è loro concesso, ovvero che essi sopravvivono in orbite stabili ove non possano essere perturbati dalla interazione con i corpi più vicini.

Per quanto riguarda la struttura fisica dei pianeti, va ricordato che i più piccoli e rocciosi pianeti terrestri si trovano nelle zone interne del sistema planetario, vicini al Sole. La loro densità non compressa aumenta considerevolmente col diminuire della distanza eliocentrica, il che suggerisce la presenza di un più elevato contenuto di materiale refrattario (cioè di elementi condensati di alta temperatura) o di metalli nei pianeti più vicini al Sole. A distanze più grandi troviamo i pianeti giganti Giove e Saturno, prevalentemente composti di idrogeno ed elio, mentre, spostandosi ancora più lontano, incontriamo Urano e Nettuno, più piccoli e ricchi in ghiacci. La regione di transizione tra i pianeti terrestri e quelli gioviani è popolata dagli asteroidi, corpi di piccole dimensioni, la cui massa totale è di circa 1/20 della massa della Luna. La popolazione degli asteroidi è “collisionalmente evoluta” e per conseguenza la loro distribuzione di massa segue una legge esponenziale con un esponente -3.5, come dimostrato da calcoli teorici e numerici (De Pater and Lissauer, 2001). La presenza in questa zona di famiglie di asteroidi, che sembrano essersi generate dalla frammentazione di un corpo unico, così come di asteroidi doppi (come la coppia Ida-Dactyl osservata dalla sonda Galileo), è una chiara indicazione del fatto che le collisioni hanno giocato un ruolo importante nella fascia asteroidale, e non solo, come testimoniato dalla presenza di crateri su tutte le superfici solide di pianeti e satelliti.

Le zone esterne e lontane sono ricche in corpi ghiacciati, le comete, che per effetto di perturbazioni gravitazionali penetrano nelle zone interne del sistema stesso, dando luogo a spettacolari manifestazioni, quali la formazione della chioma e della coda. I gas emessi dal nucleo cometario, provenienti dalla sublimazione dei ghiacci, trascinano con sè particelle di polvere rocciosa ed organica. Si forma così una tenue atmosfera di gas e polvere, che, riflettendo la radiazione solare, diventa osservabile anche da terra. Più la cometa si avvicina al Sole, più aumentano le emissioni di gas. Il gas, sotto l’effetto della radiazione solare, si ionizza e interagisce con il campo di radiazione solare e con il vento solare stesso. Così i gas emessi possono essere identificati mediante i loro prodotti di ionizzazione. Mentre non è impossibile dedurre la composizione delle molecole primarie neutre dalla osservazione dei loro prodotti di ionizzazione, è estremamente difficile ricostruirne le proporzioni relative. Per far ciò occorre passare attraverso un modello di evoluzione della cometa, necessario per comprenderne appieno la natura e la composizione e come essa si evolve nel tempo. Tale conoscenza è indispensabile se si voglia conoscere la natura della materia primordiale che era presente nel sistema planetario, senza trascurarne la componente volatile. Da ciò nasce l’esigenza dello studio delle comete.

Da quanto detto emerge che ci si deve aspettare che il sistema solare, nel suo insieme, si sia evoluto - sotto l’azione della gravità - da una fase diffusa ad una fase condensata. Ci si deve aspettare anche che le zone interne siano state caratterizzate da temperature più alte di quelle esterne, e che parte dei gas primordiali si sia dissipata dalle zone più vicine al Sole, persistendo invece nelle zone più lontane almeno fino a quando la formazione dei pianeti giganti non ebbe luogo. Come la materia diffusa tende ad aggregarsi, e come la materia solida riesce a separarsi dal gas, costituisce la base delle moderne teoria di formazione planetaria, delle quali discuteremo in quanto segue. Le teorie di formazione devono spiegare l’ordine che caratterizza il nostro sistema e la sua sostanziale omogeneità isotopica. I corpi solidi del sistema si accrebbero in modo sostanzialmente gerarchico, passando attraverso varie fasi, quali la formazione di corpi intermedi, i planetesimi, l’accrescimento dei planetesimi e la formazione di embrioni planetari e poi dei pianeti così come li conosciamo. Tuttavia non va ignorato che, nelle fasi intermedie della evoluzione, quando un gran numero di corpi di piccole dimensioni era presente a formare veri e propri sciami, ai processi ordinati si sovrapponeva un certo grado di stocasticità dovuto al ruolo degli impatti. Grandi impatti hanno generato sulle superfici dei pianeti terrestri grandi bacini, hanno prodotto l’inclinazione degli assi di rotazione, hanno forse estratto materiale elaborato dal quale si sono generati nuovi corpi, come nel caso della Luna.

Formazione del corpo centrale e della nebulosa Solare primordiale

In analogia con quanto espresso dalle recenti teorie sulla formazione stellare, si ritiene che anche il Sole nacque in una nube molecolare densa, come risultato del collasso gravitazionale della nube stessa. Le stelle simili al Sole sono spesso essere immerse in dense nubi molecolari che, osservate nel radio, mostrano di contenere molecole di NH3, HCN, H2CO. Tali nubi molecolari sono fredde, avendo temperature tipiche tra 10 e 30 K e densità intorno a poche migliaio di molecole al cm3. La composizione delle nubi è dominata dall’idrogeno molecolare e –presumibilmente– dall’elio, più difficile da osservare. Ovviamente nelle nubi sono presenti molte altre molecole, come CO, CN, CS, SiO OH, H2O, tutte presenti anche nelle comete. In generale le nubi sono stabili, cioè la forza di gravità è controbilanciata dalle forze di pressione, dalla turbolenza, dalla pressione generata dai campi magnetici e dalla rotazione. Il passaggio attraverso i bracci a spirale della galassia o altri effetti perturbativi possono rendere la nube instabile, causandone il collasso. Le zone più dense della nube collassano in generale più rapidamente. Le nubi ruotano, e ciò fa sì che tendano a frammentarsi dando luogo ad un insieme di oggetti detti “core”le cui densità aumentano sempre di più sotto l’azione della autogravità. Il Sole potrebbe essersi generato da uno di questi oggetti collassati. Il collasso del “core” provoca la conversione di energia gravitazionale in cinetica, cosicché, se la nube si mantiene trasparente, l’oggetto resta freddo, poiché l’energia che si genera viene irraggiata all’esterno. Non appena la densità ha raggiunto valori tali da far sì che l’opacità della nube aumenti, la temperatura cresce, poiché la struttura non è più in grado di irraggiare efficacemente l’energia acquisita. Quando la temperatura della protostella raggiunge circa 106 K, le reazioni nucleari cominciano ad aver luogo, a causa delle elevate velocità di urto tra atomi. L’idrogeno inizia a trasformarsi in deuterio e quest’ultimo si converte in elio con una reazione fortemente esotermica. L’energia che si genera in questo processo è sufficiente a bloccare la contrazione. Quando la riserva di deuterio però si esaurisce, la stella si contrae ulteriormente, la sua temperatura interna ricomincia ad aumentare, finché, raggiunti i 107 K, comincia ad avvenire la fusione dell’idrogeno.

Durante queste fasi di accrescimento la stella è nascosta alla nostra vista da una densa nube di gas e polvere che la circonda. Se noi osservassimo la stella dall’esterno, vedremmo una nube relativamente fredda circondata da un denso inviluppo di particelle di polvere le cui dimensioni variano da qualche micron ai centimetri, con una distribuzione piccata intorno a 100 μm. È questa la fase iniziale della vita di una stella, quella che sarà fondamentale nel determinarne la futura evoluzione così come nel determinare la natura degli oggetti che potranno formarsi attorno ad essa. È per questo motivo che, anche ai fini dello studio dettagliato dei sistemi planetari, è essenziale studiare queste fasi primordiali della evoluzione stellare, con particolare riguardo alla possibilità di formazione di dischi attorno ad esse.

Il collasso gravitazionale

La formazione stellare avviene nelle regioni della galassia dove forze esterne inducono una compressione del gas interstellare e ne provocano il collasso gravitazionale. Tali compressioni possono avvenire, ad esempio, per il passaggio della nube attraverso  i bracci a spirale della galassia, oppure dove le fluttuazioni del campo gravitazionale producono onde d’urto, o a seguito dell’esplosione di una supernova. La nebulosa interstellare tipica è in equilibrio, quindi non si contrae sotto l’azione della forza di gravità, poiché questa viene bilanciata dalla pressione. La pressione interna è legata alla temperatura cinetica del gas, alla presenza di moti turbolenti oppure alla presenza di campi magnetici.

Se consideriamo dapprima un gas autogravitante, non turbolento e non ionizzato, per cui gli effetti magnetici sono trascurabili, il teorema del viriale stabilisce che, affinché essa sia in equilibrio, l’energia potenziale deve essere uguale al doppio della energia cinetica . Esse possono, a loro volta, essere espresse come segue:

;  

Si ha il collasso quando ; risolvendo la in termini di massa minima che può collassate si ottiene la cosiddetta massa di Jeans:

Una nube con massa maggiore di si contrarrà sempre di più sotto l’azione della autogravità. E’ interessante notare che la massa critica decresce all’aumentare della densità. Così una nube molto diffusa deve essere molto massiccia, o a temperatura molto bassa per poter collassate, mentre oggetti già compatti, più densi, diventano instabili a masse molto inferiori. E’ per questo motivo che, se, per un motivo qualsiasi la densità della nube aumenta, allora il collasso è favorito.



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