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Le famiglie di asteroidi

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Le famiglie di asteroidi

Le famiglie di Hirayama

Come si è già accennato nel capitolo precedente lo scienziato giapponese K. Hirayama notò, per la prima volta nel 1918, che la distribuzione dei semiassi degli asteroidi allora noti presentava alcune concentrazioni a cui dette il nome di famiglie. Hirayama aveva a disposizione solo un piccolo numero di oggetti (circa 900 nel 1918), ma alcune concentrazioni erano ben visibili anche con un campione così ridotto. Le concentrazioni di cui si parla non sono nello spazio fisico, ma nello spazio degli elementi orbitali. In particolare, i grafici che si usano ancor oggi riportano il semiasse in funzione dell’eccentricità o del seno dell’inclinazione. Il primo grafico, come è chiaro, è uno stretto parente del piano a-e menzionato nei precedenti capitoli: per motivi storici gli studiosi di dinamica mettono il semiasse in ordinata e gli studiosi di famiglie in ascissa, ma il significato è ovviamente lo stesso. Hirayama pubblicò sei lavori sulle famiglie, tra il 1918 e il 1933. Per molti anni, poi, nessuno più affrontò il problema, fino al 1951.



Prima di procedere oltre, però, sarà opportuni definire il termine famiglia. Anche se la parola fa pensare ad una connessione genetica, in realtà esso fu usato all’inizio senza quel significato; le famiglie (riconoscibili per i loro elementi orbitali) erano raggruppamenti dinamici in un opportuno spazio. Gli elementi orbitali che si usano per la rappresentazione, però, non sono i normali elementi kepleriani, bensì gli elementi propri.

Gli elementi propri

Gli elementi propri degli asteroidi sono dei quasi-integrali del moto. Essi sono stabili su lunghi intervalli di tempo e si ottengono eliminando i termini periodici rapidamente e lentamente variabili dalle equazioni del moto. La teoria che sottostà al calcolo degli elementi propri è notevolmente complessa e non vale la pena di riportarla qui.

Il calcolo degli elementi propri è cruciale per la ricerca di famiglie. In realtà, le tre grandi famiglie di Hirayama, Themis Eos e Koronis, sono identificabili anche senza questo ausilio, segno che non sono molto antiche. Infatti, le perturbazioni planetarie, specie quelle di Giove e Saturno, lentamente portano alla “deriva” degli elementi orbitali dei frammenti di una collisione: più lontano nel tempo è l’evento collisionale minore è la somiglianza tra gli elementi osculanti dei frammenti. Se però abbiamo a disposizione un metodo per cancellare (o almeno minimizzare) l’effetto delle perturbazioni ecco che i componenti di una famiglia si “ricompongono” in un gruppo abbastanza omogeneo. Poiché però i metodi di calcolo degli elementi propri sono sempre approssimati, questo raggruppamento sarà meno facile per oggetti derivanti da collisioni che risalgano molto all’indietro nel tempo. La figura 6.1 mostra la distribuzione degli asteroidi di fascia principale nel piano degli elementi propri semiasse-eccentricità. Le maggiori concentrazioni sono mostrate in colore, mentre le famiglie più piccole sono indicate solo dal nome. Si vedono molto bene le lacune di Kirkwood con la loro tipica forma a V.

Per il calcolo degli elementi propri Hirayama usò la teoria lineare classica di Lagrange in cui si teneva conto delle perturbazioni planetarie con il metodo di Stockwell. Questo metodo era molto impreciso e fu rimpiazzato successivamente da Brouwer, che di nuovo studiò la suddivisione in famiglie nel 1951 su un campione di 1563 oggetti. Egli utilizzò, per il calcolo delle perturbazioni planetarie, il nuovo metodo da lui stesso ideato insieme a van Woerkom. Lo stesso metodo fu poi utilizzato da altri studiosi di famiglie: Arnold nel 1969 (1735 oggetti), Lindblad e Southworth nel 1971 (stesso campione di Arnold più gli asteroidi della Palomar-Leiden Survey), Carusi e Massaro nel 1978 (1861 oggetti). Nel 1979 apparvero due ulteriori classificazioni ad opera di Williams (1796 oggetti) e Kozai (2125 oggetti). Questi ultimi utilizzarono per il calcolo degli elementi propri le teorie di Williams stesso e di Yuasa, rispettivamente.

In tempi più recenti, sostanzialmente dopo il 1990, nuove teorie per il calcolo degli elementi propri sono state elaborate, specialmente da Milani, Knežević, Morbidelli, Lemaitre, Henrard. Queste teorie sono completamente analitiche o semi-analitiche, cioè impiegano metodi numerici a vari livelli nel processo. Nel 2000 Milani e Knežević hanno prodotto la cosiddetta “teoria sintetica”, completamente numerica e di elevata accuratezza.

Anche se le teorie per il calcolo degli elementi propri sono state sviluppate innanzitutto per lo studio delle famiglie di asteroidi, esse rappresentano tuttavia ora uno studio indipendente e molto fruttuoso. Negli ultimi dieci anni le teorie sviluppate dagli autori citati sono migliorate, in termini di affidabilità e stabilità, di ordini di grandezza e sono ora applicabili sostanzialmente a tutti gli asteroidi, anche quelli che si trovano in condizioni dinamiche particolari o precarie.

Classificazione in famiglie

Tutte le classificazioni di asteroidi in famiglie effettuate finora fanno uso dello stesso concetto: si suppone che i membri di una famiglia facessero un tempo parte dello stesso “corpo genitore “ (parent body) che ha subito una collisione catastrofica. A seguito di questo evento i frammenti hanno cominciato a muoversi indipendentemente l’uno dall’altro e, con l’andar del tempo, le loro orbite si sono allontanate nello spazio degli elementi orbitali. Disponendo dunque di qualche metodo per calcolare questa “distanza” e facendo uso di tecniche di cluster analysis, è possibile identificare i membri di una famiglia in un fondo di “intrusi” (interlopers).

Le tecniche usate sono le più diverse. Hirayama dapprima utilizzò semplicemente dei grafici di quantità rilevanti, facendo una stima a occhio delle concentrazioni. Nel seguito egli stesso raffinò i suoi metodi utilizzando per primo metodi di analisi di clustering. I suoi successori hanno in vario grado utilizzato tecniche analoghe, talora molto sofisticate, cercando di tener conto anche del tipo e delle dimensioni dei supposti frammenti. Si è così giunti, verso la fine degli anni ’90, ad una serie di classificazioni ormai abbastanza affidabili che ci dipingono un quadro molto tormentato della fascia principale.

I risultati di due tra i metodi più affidabili di classificazione (Hierarchical Clustering Method, HCM, di Zappalà ed altri, e Wavelet Analysis Method, WAM, di Bendjoya e altri) sono riportati nella tabella a fianco, tratta da Bendjoya e Zappalà, 2002. Le famiglie riportate sono state identificate da ambedue i metodi, con una sovrapposizione minima del 50% (spesso molto migliore). Poiché il nome della famiglia deriva da quello del componente maggiore, talvolta i gruppi hanno nome differente.

Campi di velocità

A seguito della collisione che li ha generati, i frammenti di asteroidi acquistano una velocità non nulla rispetto al baricentro del corpo genitore. Questa velocità differenziale è all’origine delle differenze negli elementi orbitali, differenze che come abbiamo visto possono essere minimizzate e quindi riportate abbastanza vicino a quelle originali attraverso il calcolo degli elementi propri. Si può risalire alle variazioni dei parametri orbitali in funzione delle velocità relative attraverso le formule di Gauss:

dove na è la velocità orbitale media e VT, VR e VW sono le componenti della velocità di eiezione nelle direzioni del moto tangenziale, radiale e normale al piano orbitale. Le quantità e, f e w sono rispettivamente l’eccentricità, l’anomalia vera e l’argomento del perielio del corpo genitore al momento della collisione.

Naturalmente questi parametri al tempo della collisione, specialmente gli angoli, non sono noti, così come non è nota l’evoluzione dinamica successiva dei singoli frammenti, che con tutta probabilità hanno subito ulteriori collisioni. Una ricostruzione fedele dell’evento è quindi impossibile in linea di principio; tuttavia si può fare ricorso da un lato ad analisi statistiche che mettono in luce, almeno parzialmente, le simmetrie interne al gruppo di frammenti e forniscono informazioni sul tipo di processo che li ha generati. D’altro canto sono stati effettuati numerosi esperimenti di impatti ad ipervelocità (si definisce tale un urto ad una velocità relativa maggiore di 1 km/sec), naturalmente su oggetti molto piccoli, che hanno fornito una notevole quantità di informazioni sui campi di velocità che si sviluppano a seguito di tali eventi.

Un esempio di risultati di questi esperimenti è riportato nella figura 6.2: in ascissa è riportata l’energia specifica, cioè l’energia cinetica del proiettile divisa per la massa del bersaglio, mentre in ordinata vi è il rapporto di massa tra il frammento più grande e il bersaglio. Come si vede dalla figura (che, ripeto, è costruita su esperimenti in cui il proiettile è sempre molto piccolo), la relazione tra queste quantità in scala logaritmica ha un andamento abbastanza lineare, segno che il processo segue una legge di potenza. La linea orizzontale superiore, corrispondente ad un rapporto di massa ½, è indicata come “soglia di frammentazione”, cioè tale che il bersaglio viene sostanzialmente distrutto. E’ evidente che questo valore dipende dalla composizione del bersaglio: materiali fragili, come il ghiaccio, vengono frammentati ad energie più basse. Appare anche chiaro che a parità di energia la dimensione del frammento più grande dipende ancora dal materiale: oggetti più fragili vengono sminuzzati molto di più di oggetti resistenti.

La figura 6.3 riporta un’immagine del risultato di un esperimento d’impatto ad ipervelocità. I frammenti risultanti sono stati ordinati per grandezza ed è evidente l’enorme differenza in numero a seconda della dimensione.

Riportando queste considerazioni al caso di asteroidi, abbiamo due indicazioni importanti: (1) per avere frammentazione i due corpi devono essere comparabili in massa e la velocità relativa elevata, altrimenti si ha solo la formazione di un cratere, e (2) gli oggetti più friabili vengono in genere frammentati di più. E’ quindi di grande interesse studiare la distribuzione di massa dei componenti di una famiglia, perché questo studio ci fornisce importanti informazioni sull’evento e anche sulla composizione del corpo genitore. Questi studi sono stati condotti negli ultimi dieci anni su tutte le famiglie più importanti. In particolare, vale la pena di menzionare lo studio di Cellino ed altri (Osservatorio di Torino) del 1999. Essi trovano che esiste una relazione tra la dimensione dei frammenti e la massima possibile velocità di eiezione (cioè la velocità relativa al baricentro del corpo genitore). In particolare, nella creazione di una famiglia si avrebbe che la massima energia cinetica che un frammento può acquistare sarebbe una costante. Ne consegue che la massima velocità di eiezione raggiungibile da un frammento dipende dalla sua dimensione (a parità di densità) secondo una legge del tipo

dove d e D sono i diametri del frammento e del corpo genitore e V la massima velocità di eiezione. Il parametro K’ è dato dalla relazione

dove E/M è l’energia specifica, fKE un coefficiente di anelasticità, definito come la frazione di energia che viene trasformata in energia cinetica del frammento, e A un parametro ignoto che tiene conto della distribuzione dell’energia cinetica tra i frammenti.

I risultati di numerose simulazioni realizzate utilizzando questa teoria sono mostrati in figura 6.4 per quattro grandi famiglie. Le curve danno il numero teorico di frammenti prodotti maggiori o uguali alla dimensione del frammento riportata in ascissa; è chiaro che più è piccolo il frammento, più sarà grande il numero di altri frammenti maggiori di esso: l’intersezione con l’asse delle ascisse dà la dimensione del frammento più grande (l’unico esistente di quella dimensione). Dalle figure si ottiene anche il “grado di incompletezza” nella conoscenza della distribuzione, dato dalla difficoltà di determinare la dimensione dei membri di famiglia più piccoli. Un’analoga immagine per l’intera fascia asteroidale è data in figura 6.5 per confronto.

E’ necessario a questo punto fare qualche commento. Innanzitutto va detto che la nostra comprensione dei fenomeni collisionali che si sono svolti e tuttora si svolgono nella fascia asteroidale (ma un discorso analogo si può fare anche per la Cintura di Kuiper) è migliorata in maniera notevole negli ultimi dieci anni. Questo miglioramento è stato possibile perché le due principali attività relative alla popolazione asteroidale (le osservazioni e l’elaborazione di modelli) sono state interfacciate l’una con l’altra in maniera molto accurata. (E’ anche rilevante ricordare che gran parte di queste attività ha visto ricercatori italiani in primissima linea.) La genesi e l’evoluzione di famiglie di asteroidi a seguito di collisioni catastrofiche è ormai un fenomeno ben compreso nelle sue linee generali, anche se la determinazione dei dettagli fisici per i singoli casi è ancora difficile. Questa acquisizione è della massima importanza ed è stata immediatamente utilizzata, come vedremo nel prossimo capitolo, per studiare il trasporto di materiale dalla fascia principale alle regioni più interne del sistema solare.

Un’altra importante applicazione dello studio delle famiglie è la determinazione delle distribuzioni di massa e velocità dei frammenti. La collisione e successiva frammentazione di due oggetti comparabili rappresenta un estremo di un fenomeno tra i più comuni e generali del sistema solare: la craterizzazione. Quando infatti il proiettile è molto più piccolo del bersaglio, l’energia specifica è anche molto ridotta e decisamente insufficiente per innescare una frammentazione. In tal caso il risultato della collisione è la formazione di un cratere d’impatto come se ne trovano su qualsiasi superficie solida del sistema solare, a qualunque dimensione.



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